L’«OMO SALVATICO» CHE ANDAVA CONTRO TUTTO E TUTTI
Papini è stato un protagonista del Novecento. Fiorentino autentico (1881-1956), acceso e provocatorio «omo salvatico», fino agli anni Sessanta la sua figura e la sua letteratura hanno contato, riferimento di una parte considerevole della cultura italiana, quella cattolica. Poi via via e sempre più in fretta è scomparso dalla scena. Le ragioni sono state varie: una letteratura non al passo coi tempi; una connotazione troppo marcata (cattolico con un passato anche fascista; come tanti, del resto); la lingua troppo toscana (quando i gusti stavano mutando e finalmente dopo decenni di ostracismo emergeva nel nuovo canone letterario la prosa non toscana di Svevo). Tra il 1958 e il 1966 l’editore Mondadori pubblicò Tutte le opere, dieci volumi di mille pagine l’uno; poi già una decina d’anni dopo, nel 1977, nei «Meridiani» Mondadori uscì un primo volume di Opere. Dal «Leonardo» al «Futurismo» , che, eccezione della collana, restò senza seguito. In pochi anni il destino di Papini era ridotto da dieci a un solo volume: giudizio drastico, inequivocabile. Nei decenni successivi sporadiche riproposte ci sono state ma, di fatto, Papini non è mai rientrato in gioco (nonostante la stima internazionale di Borges). Questa non è la sede per una discussione approfondita, mi preme però sottolineare il problema, che accomuna anche un altro sodale militante di Papini quale fu Ardengo Soffici.
È pertanto con piacere che saluto una iniziativa editoriale di grande valore e coraggio: la pubblicazione dall’editore Clichy di tutti i racconti di Papini, in un’agile quanto rigorosa edizione curata da Raoul Bruni. Si tratta di un evento rilevante, che permette di tornare a testi significativi (da tempo fuori mercato) e di ripercorrere la parabola non solo dello scrittore ma di molti autori del secolo scorso. Perché a essere protagonista Papini ha iniziato presto, appena ventenne, siglando l’epoca delle riviste e della nostra avanguardia, dal «Leonardo» (1903-1907) a «Lacerba» (1913-1915), passando per «Il Regno» di Enrico Corradini e «La Voce» dell’amico di una vita Giuseppe Prezzolini. Sono gli anni in cui è quasi sempre «contro» tutto e tutti, si definisce «immoralista» e nelle schegge di «Lacerba» afferma spudoratamente e perentoriamente che «se Cristo fosse morto i mpiccato avremmo la soddisfazione di vedere una forca sopra gli altari e al collo degli ecclesiastici» (15 settembre 1913).
È il periodo di un capolavoro quale il romanzo autobiografico Un uomo finito (1913), ispirato al superomismo di Nietzsche, e di molte altre opere, tra cui le raccolte di racconti Il tragico quotidiano (1906), Il pilota cieco (1907), Parole e sangue (1912), Buffonate (1914). Una produzione fitta, irregolare, originale, «fantastica»: interrotta dalla tambureggiante propaganda per il massacro di sangue della Grande Guerra, dalla clamorosa conversione al cattolicesimo ( Storia di Cristo, 1921), dai pungenti e beffardi obiettivi del polemista (che mise in secondo piano lestro del narratore).
Grazie a questo libro ora possiamo leggere tutti i racconti di Papini in un’unica preziosa raccolta, che riprende l’edizione conclusiva degli anni Cinquanta e consente di fare luce pure sul Papini (oggi meno noto) del secondo dopoguerra: il terziario francescano e l’autorevole firma del «Corriere della Sera», il memorialista ed epigrammista delle penetranti Schegge, l’utopico narratore dei racconti di La sesta parte del mondo (1954). Ci sono indubbi tratti di continuità tra il Papini ventenne degli esordi e il settantenne della vecchiaia. La vena autobiografica contrassegna l’intero percorso, sia che si cominci con l’incipit del primo racconto del Tragico quotidiano («L’uomo che non poté essere imperatore»), suggerito da Baudelaire e ancora da Nietzsche, sia che si apra il primo racconto dell’ultima raccolta ( La sesta parte del mondo: «Armuria»), in cui sogni e distopia convivono e si intrecciano in cosmica tensione agonistica.
Se non ci sono racconti seguenti alla Grande Guerra, dal secondo conflitto mondiale ne scaturirono invece parecchi, spesso in forma di apologo, come fecero negli anni Cinquanta anche due narratori di ben altra età e ideologia come Ennio Flaiano e Italo Calvino. Credo sia perciò il momento giusto per leggere i racconti di Papini nel contesto culturale del dopoguerra, valutandone qualità, sintonie, contrasti, anacronismi. Sovente la voce è assai meno scontata di altre.
I racconti
Giovanni Papini
A cura di Raoul Bruni Prefazione di Vanni Santoni Postfazione di Alessandro Raveggi
Clichy, pagg. 720, € 25