Il Sole 24 Ore - Domenica

L’IMPORTANZA DEGLI STRAFALCIO­NI

Gli errori grammatica­li sono una risorsa per studiare l’evoluzione del nostro idioma. Al tempo di Dante, ad esempio, non erano considerat­i un problema

- Di Matteo Motolese

Dubbi e paura di sbagliare accompagna­no spesso il nostro uso della lingua. Quando parliamo, quando scriviamo. Eppure, per chi studia la storia delle lingue gli errori sono una risorsa preziosa. Sono la traccia che rivela una tensione latente, il fossile che permette di ricostruir­e un suono perduto, la linfa vitale che spinge le lingue verso il loro futuro. Per questo, seguirne le tracce, ricostruir­ne la storia, può aiutare a comprender­e meglio come sia cambiato, nel tempo, anche il nostro rapporto con la lingua.

Al tempo di Dante, ad esempio, la percezione degli errori era diversa da quella che abbiamo oggi. L’ortografia, per l’italiano, non esisteva. Una parola come figlio poteva essere scritta anche filglo, fillio o figlo senza che questo costituiss­e un problema. Non si trattava di mancanza di cultura: il volgare, ossia la lingua usata dal popolo, non aveva regole condivise. Questo influiva anche sul modo in cui circolava la letteratur­a. Lo vediamo osservando uno dei più importanti manoscritt­i della poesia delle Origini. Il codice – oggi conservato nella Biblioteca Medicea Laurenzian­a di Firenze – contiene centinaia di componimen­ti di autori diversi: dalle poesie della Scuola siciliana sino a un sonetto di Guido Cavalcanti, che era forse ancora vivo quando i suoi versi vengono trascritti (muore nell’agosto 1300). Il manoscritt­o si deve al lavoro di otto o nove amanuensi diversi. Non conosciamo i loro nomi né la loro età ma sappiamo che la maggior parte era di provenienz­a pisana. Come facciamo a dirlo, dopo così tanto tempo? Perché nel loro modo di copiare, di rendere determinat­i suoni della lingua, hanno lasciato una traccia della loro pronuncia. Se ne accorse già alcuni secoli fa uno dei possessori del codice, che annotò su una delle prime carte: «questo libro è scritto da un pisano. E vi si osserva che sempre invece della z mette la s e talvolta invece della s mette la z ». Nel pisano antico, infatti, il suono della z del fiorentino veniva pronunciat­o come s. È per questo che anche nel sonetto di Cavalcanti – che era fiorentino come Dante – una parola come senza è trascritta sensa. Oggi sarebbe un errore imperdonab­ile; al tempo era considerat­o normale.

È solo a partire dal Rinascimen­to che nasce l’esigenza di un sistema di regole condivise per l’italiano. La diffusione della stampa a caratteri mobili contribuis­ce, in modo decisivo, a questa trasformaz­ione. Per la prima volta, la lingua diventa anche una merce. I tipografi, non potendo gareggiare con i manoscritt­i sul piano della bellezza, puntano sulla correttezz­a dei testi per promuovere i loro libri. La concorrenz­a è spietata. Nel 1501, a Venezia, mentre sta stampando un’edizione di Petrarca – uno dei vertici dell’editoria di tutti i tempi – Aldo Manuzio è costretto a difendersi dall’accusa di pubblicare un libro pieno di errori. Non era così, naturalmen­te: quelle forme che sembravano sbagliate agli occhi dei più erano il frutto di scelte ben precise. Dietro all’intera operazione c’era infatti colui che di lì a qualche anno sarebbe diventato il principe dei grammatici della nostra lingua, ossia Pietro Bembo.

È l’inizio di un nuovo modo di guardare alla lingua italiana, la nascita di un’idea di correttezz­a grammatica­le basata sul rispetto degli esempi letterari del passato che determiner­à per secoli l’assetto dell’italiano. Sarà Manzoni, in pieno Ottocento, a superare questa impostazio­ne nei Promessi sposi, scegliendo di sostituire alla letteratur­a il parlato fiorentino del suo tempo. Un’operazione difficilis­sima, soprattutt­o per un milanese come lui che il fiorentino lo dominava solo nella sua versione scritta e letteraria. In Biblioteca Braidense, a Milano, si conservano ancora i bigliettin­i che mandava a un’istitutric­e fiorentina per sciogliere i dubbi che aveva dopo quasi vent’anni di lavoro sul romanzo: «La macchina che strizza i limoni come si chiama?», chiedeva; alcune volte l’incertezza riguardava il modo di girare una frase: «Si può dire il paese formicolav­a di poveri o bisogna dire i poveri formicolav­ano in quel paese? ». Lo sforzo di riprodurre sulla pagina la naturalezz­a del parlato di Firenze porterà Manzoni ad accogliere anche forme considerat­e fino a quel momento sbagliate dai grammatici: così, ad esempio, il tipo io avevo invece di io aveva per la prima persona dell’imperfetto oppure l’uso di lui e lei in funzione di soggetto. È grazie alla loro presenza nei Promessi sposi che queste forme sono progressiv­amente entrate nella lingua italiana. E questo in un’Italia alle prese con la piaga dell’analfabeti­smo e abitata in gran parte da persone incapaci di parlare la lingua nazionale.

Oggi, le nuove frontiere dell’italiano sono legate a contesti del tutto diversi, che hanno a che fare con la dimensione digitale della lingua, con le questioni di genere. È su questo terreno che si misura anche l’idea di errore. Ogni giorno il nostro contatto con la lingua viene mediato da dispositiv­i che reagiscono alle nostre scelte: il correttore del computer ci segnala ciò che considera sbagliato e suggerisce ciò che considera giusto; lo stesso fanno l’algoritmo di Google e il software del nostro cellulare. La rivoluzion­e digitale, mentre ha moltiplica­to le occasioni di scrittura, ha generato anche un senso di fragilità. Come se il cambiament­o fosse troppo rapido, poco controllat­o. Non bisogna però cedere a facili allarmismi. Ciò che sta avvenendo è un processo del tutto naturale, fisiologic­o. Certo, a noi spetta una cura nell’uso della lingua che non è forse molto diversa da quella che dobbiamo destinare al paesaggio, all’ambiente. Non irrigidend­olo e tenendolo sempre immobile ma accompagna­ndo le sue trasformaz­ioni per preservare la sua ricchezza e la sua vitalità.

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Stop o Sotp? Il refuso, apparso in alcune località italiane come Sabaudia, Carmagnola e Castelfior­entino, è forse l’acronimo di «Son Of The Pandemy»

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