COSIMO IL MECENATE
Il potente banchiere si circondò di letterati, poeti e artisti: una scelta condivisa dai figli Piero e Giovanni, e poi dal Magnifico
Si sa, non tutto il male viene per nuocere. In Italia la peste che a metà Trecento fece tante vittime e tanti danni, portò crisi ma stimolò anche una nuova ripresa. A Firenze la popolazione fu dimezzata e fra i suoi 50.000 abitanti molti mercanti, industrie tessili e banche, gli Albizzi, i Pazzi, veri colossi finanziari, fallirono. Ma sopraggiunse una generazione di straordinari innovatori, fra cui emerse Cosimo de’ Medici.
Il ritratto che ci lasciarono di lui i suoi contemporanei è di un industriale e finanziere perfetto: aveva anch’egli, come egli stesso diceva degli uomini accorti, «il cervello in danari contanti» (così testimonia il Poliziano), e straordinaria capacità di gestire situazioni difficili e complesse, di districarsi anche nella politica. Laborioso e avaro del suo tempo quanto il re Mida lo fu dei denari, contava i giorni e le ore scrupolosamente affinché nulla ne andasse perduto (così Marsilio Ficino); disprezzava il povero, non di per sé ma perché, i n quanto tale, non disponeva di mezzi per aiutare il suo prossimo. Lo vediamo anche coinvolto in contese sindacali, come quella che scoppiò nella sua tenuta di Careggi, quando un sovrintendente lo informò che uno dei suoi lavoratori era «un gran finghardo», il quale in cucina ardeva i ginepri del padrone e per non faticare andando a far legna in collina aveva divelto quel bel melagrano «ch’era al secondo viottolo e faceva sì belle mele».
Ma oltreché e più che di esperti e consulenti economici egli si circondò di letterati e di poeti, per goderne e per comprendere come sono fatti gli uomini. Già fornito egli stesso di una solida cultura classica, per tutta la sua vita fu attorniato costantemente da intellettuali quali Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Antonio Traversari e li soccorse in momenti difficili. Era una comitiva che all’occorrenza sapeva essere anche divertente e scanzonata. Carlo Marsuppini, retore e istitutore dei figli di Cosimo, potentissimo e lautamente stipendiato, integerrimo perché così ricco da non aver alcun bisogno di denaro, incappa nelle satire del collega Francesco Filelfo e lì è protagonista di scene sboccate e rivoltanti in un bordello; crapulone, ubriaco, è talmente sudicio che il suo vomito è quanto di più pulito gli si vede attorno. E assieme a costoro anche lo stesso Cosimo se la spassa, virtuoso di giorno e vizioso di notte.
Il suo mecenatismo e la sua intimità si estendono anche ai più grandi artisti del tempo, architetti, scultori, pittori, nella capitale dell’arte quattrocentesca. Donatello, nonostante il suo pessimo carattere, era di casa presso i Medici e aveva un conto corrente nel loro banco; tale la sua intimità con Cosimo, da ottenere di essere anche sepolto accanto a lui. Michelozzo Michelozzi fu il suo urbanista e architetto privato. Filippo Lippi giunse persino a chiederne l’elemosina presentandosi piangente come uno dei più poveri frati della città, inabile a fornire un po’ di doti alle nipoti e «un pochino di grano e di vino» a sé stesso. Queste inclinazioni e simpatie ebbero la fortuna di essere condivise anche dai figli di Cosimo, Piero e Giovanni, bibliofili anch’essi e collezionisti d’arte antica; per non dire poi del figlio di Piero, il Magnifico.
Ma come andavano frattanto gli affari di famiglia? Lorenzo Tanzini, docente di Storia medievale all’Università di Cagliari, autore di questo Cosimo de’ Medici. Il banchiere statista padre del Rinascimento fiorentino, indagando documenti e interpretandoli minuziosamente, ci fornisce anche queste interessanti informazioni.
Il Banco creò filiali in punti nevralgici in Italia e in Europa, spesso in un groviglio anche politico, a Roma presso il papa, a Venezia e a Milano in centro città in un nuovo palazzo classicheggiante che lì al Nord era una novità; e poi all’estero, a Basilea in occasione del Concilio, in Borgogna, in Spagna, nelle Fiandre e a Londra; nel ventennio fra il 1435 e il 1455 il capitale della società fu più che raddoppiato, da 32mila a 72mila fiorini, e i bilanci annuali superano costantemente i 70mila fiorini, mentre gli utili distribuiti annualmente ai soci ascendono da 12mila a 20mila.
È una bravura eccezionale questa di Cosimo di intrecciare i due lati della sua personalità, politicoeconomica e umanistica, fino a tarda vecchiaia e alla morte nel ’64. Anzi, si assiste a un incremento e a un
ERA BRAVISSIMO NELL’INTRECCIARE I DUE LATI DELLA SUA PERSONALITà: POLITICO-ECONOMICA E UMANISTICA
mutamento costante di quella comitiva letteraria, che sconfina e raggiunge anche l’area del volgare contemporaneo. La personalità stessa di Cosimo, o almeno la sua rappresentazione, mutano. Lodato per anni come mecenate, ora è imposto come il politico filosofo, cultore e introduttore della virtù e modello vivente nella vita pubblica. Marsilio Ficino, traduttore dei Dialoghi platonici, uno degli ultimi arrivati, confessava di essere molto obbligato al suo Platone per quanto gli aveva insegnato a tu per tu, ma non meno a Cosimo per essere stato di quelle idee della virtù una rappresentazione giornaliera innanzi ai suoi occhi.
Non rimane che accennare alla presenza anche di donne in questo contesto, presenza sottolineata anche nello studio del Tanzani. Fu Lucrezia Tornabuoni, moglie di Piero, non paga della sua sola stirpe nobiliare e della condizione di nuora di Cosimo, a mediare l’ingresso di Luigi Pulci in casa Medici, e con lui della poesia cavalleresca di sapore medievale e dell’arte gotica accanto alla classica.
Sempre infaticabile e insoddisfatto anche in quegli ultimi anni, Cosimo eresse la Badia Fiesolana sulle alture attorno a Firenze e impegnò quei monaci a dare lì un assetto completo e definitivo alla propria biblioteca, deposito e panorama dell’intera cultura passata e presente.
Quarantacinque copisti di codici e di testi furono fatti venire espressamente da altre biblioteche del Nord Italia. Il suo biografo Vespasiano da Bisticci fa per l’ultima volta i conti in tasca al mecenate e trova che per tutto ciò spese complessivamente 70mila fiorini, quanti solo i re e gli imperatori dell’antichità furono disposti spendere.
Cosimo de’ Medici Il banchiere statista padre del Rinascimento fiorentino
Lorenzo Tanzini Salerno, pagg. 375, € 25