IL MUSICISTA CON IL PALLINO DELL’ASTRONOMIA
Il giorno, o meglio la notte, che cambiò la sua vita fu quella del 13 marzo del 1781 quando, esplorando la volta celeste con un telescopio di sua costruzione - cosa che faceva di solito ogni sera insieme alla sorella Caroline - si imbatté in «una stella strana, forse una cometa» nella costellazione dei Gemelli. Alto, ben vestito e con una folta parrucca impomatata, si sporgeva in piedi da uno scranno per appoggiare l’occhio all’oculare dello strumento. Si girò a guardare Caroline, poi ritornò a fissare esterrefatto quel disco misterioso dalla luce verde-azzurrognolo: la stessa scena si ripetette quattro, cinque volte, mentre nel frattempo una strana euforia si impadronì di lui, come se dall’azzurro lontanissimo dello spazio gli giungessero le note dolcissime di una nuova sinfonia.
Fu la notte in cui un musicista dalla solida reputazione come solista, abile organista e suonatore di oboe, si tramutò nel più acuto, tenace e raffinato astronomo autodidatta di tutti i tempi, destinato a dilatare smisuratamente i confini dell’universo e a catalogare tutto quello che si muoveva in esso, con la stessa meticolosa sistematicità con cui in quegli stessi anni Comte de Buffon studiava e classificava le piante e gli animali. Il corpo celeste scoperto quella sera era un nuovo pianeta, in seguito chiamato Urano in onore della musa per eccellenza dell’astronomia, Urania, mentre quello stravagante personaggio completamente a suo agio tra l’armonia musicale e quella del cosmo rispondeva al nome di William Herschel.
Ricorrono il 25 agosto i duecento anni della scomparsa di questo scienziato eccezionale a cui si deve la nascita dell’astronomia moderna. Sulla lapide della tomba, a Slough in Inghilterra, vi è uno scarno epitaffio: «Infranse le frontiere del cielo». Grandi gli inglesi, impareggiabili per quella loro inestimabile concisione… La cittadina di Bath ne celebra però fortunatamente l’indubbia genialità con una nutrita serie di concerti di musica classica e conferenze di astronomia, le due grandi passioni di Herschel.
Gli scienziati, come i poeti o i musicisti, sono guidati dal senso di meraviglia, da quel misto di umiltà, cocciutaggine e genialità che li spinge a progredire nel vasto mondo dell’ignoto. Aggiungiamoci anche uno sfrenato entusiasmo ed ecco che abbiamo un primo, vivido quadro di questo scienziato vissuto negli anni d’oro del Romanticismo scientifico, quell’epoca che va dagli ultimi decenni del Settecento ai primi dell’Ottocento, anni riecheggianti di grandiose domande sul mondo animato e quello inanimato, ma dedicati a capire le cose con strumenti quanto più possibile semplici ed efficaci. In questo Herschel fu un vero campione.
Era nato ad Hannover, in Germania, nel 1738. Il padre, un musicista, trasmise a tutti i suoi figli la passione per la musica. A diciannove anni, allo scoppio della Guerra dei Sette Anni, scappò in Inghilterra e qui insegnò musica, fece il copista di spartiti, compose sinfonie e suonò con successo in varie città. Muovendosi da un borgo ad un altro e viaggiando spesso la notte, si soprese ad osservare il firmamento, le mille stelle che luccicavano sulla sfera celeste, e a sviluppare una vera e propria fascinazione per la Luna, come accadde da lì a qualche anno dalle finestre del suo palazzo di Recanati anche al nostro grande poeta Giacomo Leopardi.
Volle capirci di più: il primo passo fu leggere le opere di Newton - uno sforzo immane, diciamolo pure - ma la vera svolta venne dalla lettura dell’autobiografia dell’astronomo James Ferguson, un testo dove l’autore trasmetteva in maniera vividissima tutto il suo amore per quelle innumerevoli ore notturne passate a testa in su, steso su di una coperta nei prati in aperta campagna ad osservare le stelle e a identificare i pianeti. Un amico gli prestò un giorno un telescopio alquanto primitivo ma quello che vide avvicinando l’occhio all’oculare lo lasciò talmente stupefatto da decidere di costruirne uno molto più potente, in grado di guardare nella profondità nello spazio e di ingrandire tutti gli oggetti presenti in esso.
Iniziò così a costruire telescopi con specchi metallici sempre più giganteschi, fusi nella cantina di casa trasformata in una fiammeggiante fucina artigianale, e poi molati per ore usando sterco di cavallo, materiale abrasivo il giusto. Una vera e propria ossessione, sostenuta in pieno dalla sorella Caroline, che un giorno arrivò ad annotare sul suo diario che «dovetti perfino imboccarlo mentre, instancabile, continuava a sfregare con le mani piene di sterco la superfice rilucente dello specchio». I due fratelli, uniti da un legame singolarissimo di affetto e stima, finirono per dar vita ad uno dei binomi scientifici più stupefacenti di tutti i tempi.
Se il primo telescopio prodotto in casa Herschel si trovò ad avere una distanza focale di circa un metro e mezzo, l’ultimo esemplare fu un leggendario e mastodontico telescopio con una distanza focale di 13 metri e uno specchio di 122 centimetri, pesante quasi una tonnellata. Durante la costruzione passarono vicino il suo giardino il re e l’arcivescovo di Canterbury e Herschel li accompagnò a vedere il telescopio, dicendo: «Venite, vi mostrerò il cammino verso il cielo».
Grazie ai nuovi strumenti, William Herschel compilò il più completo catalogo di nebulose, individuò molte stelle doppie, scoprì Urano ma capì anche che la Terra e tutto il Sistema Solare si trovano dentro un enorme ammasso di stelle della forma «a macina di mulino», la nostra Via Lattea. Alla luce di questa sorprendente conclusione, iniziò allora a sospettare che le migliaia di nebulose che aveva classificato con l’aiuto decisivo della sorella Caroline e che gli avevano tenuto compagnia per innumerevoli notti altro non erano che tante altre Vie Lattee, giganteschi ammassi composti da milioni di stelle impegnati in una danza cosmica dettata dalla legge di gravitazione universale.
Lo assalì allora la vertigine dell’infinito e capì che la sua era la passione smisurata di un artista e di uno scienziato romantico alla ricerca in cielo di quelle note che avrebbero dato vita alla sinfonia più bella mai scritta prima.