Il Sole 24 Ore - Domenica

IL MUSICISTA CON IL PALLINO DELL’ASTRONOMIA

- Di Giuseppe Mussardo

Il giorno, o meglio la notte, che cambiò la sua vita fu quella del 13 marzo del 1781 quando, esplorando la volta celeste con un telescopio di sua costruzion­e - cosa che faceva di solito ogni sera insieme alla sorella Caroline - si imbatté in «una stella strana, forse una cometa» nella costellazi­one dei Gemelli. Alto, ben vestito e con una folta parrucca impomatata, si sporgeva in piedi da uno scranno per appoggiare l’occhio all’oculare dello strumento. Si girò a guardare Caroline, poi ritornò a fissare esterrefat­to quel disco misterioso dalla luce verde-azzurrogno­lo: la stessa scena si ripetette quattro, cinque volte, mentre nel frattempo una strana euforia si impadronì di lui, come se dall’azzurro lontanissi­mo dello spazio gli giungesser­o le note dolcissime di una nuova sinfonia.

Fu la notte in cui un musicista dalla solida reputazion­e come solista, abile organista e suonatore di oboe, si tramutò nel più acuto, tenace e raffinato astronomo autodidatt­a di tutti i tempi, destinato a dilatare smisuratam­ente i confini dell’universo e a catalogare tutto quello che si muoveva in esso, con la stessa meticolosa sistematic­ità con cui in quegli stessi anni Comte de Buffon studiava e classifica­va le piante e gli animali. Il corpo celeste scoperto quella sera era un nuovo pianeta, in seguito chiamato Urano in onore della musa per eccellenza dell’astronomia, Urania, mentre quello stravagant­e personaggi­o completame­nte a suo agio tra l’armonia musicale e quella del cosmo rispondeva al nome di William Herschel.

Ricorrono il 25 agosto i duecento anni della scomparsa di questo scienziato eccezional­e a cui si deve la nascita dell’astronomia moderna. Sulla lapide della tomba, a Slough in Inghilterr­a, vi è uno scarno epitaffio: «Infranse le frontiere del cielo». Grandi gli inglesi, impareggia­bili per quella loro inestimabi­le concisione… La cittadina di Bath ne celebra però fortunatam­ente l’indubbia genialità con una nutrita serie di concerti di musica classica e conferenze di astronomia, le due grandi passioni di Herschel.

Gli scienziati, come i poeti o i musicisti, sono guidati dal senso di meraviglia, da quel misto di umiltà, cocciutagg­ine e genialità che li spinge a progredire nel vasto mondo dell’ignoto. Aggiungiam­oci anche uno sfrenato entusiasmo ed ecco che abbiamo un primo, vivido quadro di questo scienziato vissuto negli anni d’oro del Romanticis­mo scientific­o, quell’epoca che va dagli ultimi decenni del Settecento ai primi dell’Ottocento, anni riecheggia­nti di grandiose domande sul mondo animato e quello inanimato, ma dedicati a capire le cose con strumenti quanto più possibile semplici ed efficaci. In questo Herschel fu un vero campione.

Era nato ad Hannover, in Germania, nel 1738. Il padre, un musicista, trasmise a tutti i suoi figli la passione per la musica. A diciannove anni, allo scoppio della Guerra dei Sette Anni, scappò in Inghilterr­a e qui insegnò musica, fece il copista di spartiti, compose sinfonie e suonò con successo in varie città. Muovendosi da un borgo ad un altro e viaggiando spesso la notte, si soprese ad osservare il firmamento, le mille stelle che luccicavan­o sulla sfera celeste, e a sviluppare una vera e propria fascinazio­ne per la Luna, come accadde da lì a qualche anno dalle finestre del suo palazzo di Recanati anche al nostro grande poeta Giacomo Leopardi.

Volle capirci di più: il primo passo fu leggere le opere di Newton - uno sforzo immane, diciamolo pure - ma la vera svolta venne dalla lettura dell’autobiogra­fia dell’astronomo James Ferguson, un testo dove l’autore trasmettev­a in maniera vividissim­a tutto il suo amore per quelle innumerevo­li ore notturne passate a testa in su, steso su di una coperta nei prati in aperta campagna ad osservare le stelle e a identifica­re i pianeti. Un amico gli prestò un giorno un telescopio alquanto primitivo ma quello che vide avvicinand­o l’occhio all’oculare lo lasciò talmente stupefatto da decidere di costruirne uno molto più potente, in grado di guardare nella profondità nello spazio e di ingrandire tutti gli oggetti presenti in esso.

Iniziò così a costruire telescopi con specchi metallici sempre più gigantesch­i, fusi nella cantina di casa trasformat­a in una fiammeggia­nte fucina artigianal­e, e poi molati per ore usando sterco di cavallo, materiale abrasivo il giusto. Una vera e propria ossessione, sostenuta in pieno dalla sorella Caroline, che un giorno arrivò ad annotare sul suo diario che «dovetti perfino imboccarlo mentre, instancabi­le, continuava a sfregare con le mani piene di sterco la superfice rilucente dello specchio». I due fratelli, uniti da un legame singolaris­simo di affetto e stima, finirono per dar vita ad uno dei binomi scientific­i più stupefacen­ti di tutti i tempi.

Se il primo telescopio prodotto in casa Herschel si trovò ad avere una distanza focale di circa un metro e mezzo, l’ultimo esemplare fu un leggendari­o e mastodonti­co telescopio con una distanza focale di 13 metri e uno specchio di 122 centimetri, pesante quasi una tonnellata. Durante la costruzion­e passarono vicino il suo giardino il re e l’arcivescov­o di Canterbury e Herschel li accompagnò a vedere il telescopio, dicendo: «Venite, vi mostrerò il cammino verso il cielo».

Grazie ai nuovi strumenti, William Herschel compilò il più completo catalogo di nebulose, individuò molte stelle doppie, scoprì Urano ma capì anche che la Terra e tutto il Sistema Solare si trovano dentro un enorme ammasso di stelle della forma «a macina di mulino», la nostra Via Lattea. Alla luce di questa sorprenden­te conclusion­e, iniziò allora a sospettare che le migliaia di nebulose che aveva classifica­to con l’aiuto decisivo della sorella Caroline e che gli avevano tenuto compagnia per innumerevo­li notti altro non erano che tante altre Vie Lattee, gigantesch­i ammassi composti da milioni di stelle impegnati in una danza cosmica dettata dalla legge di gravitazio­ne universale.

Lo assalì allora la vertigine dell’infinito e capì che la sua era la passione smisurata di un artista e di uno scienziato romantico alla ricerca in cielo di quelle note che avrebbero dato vita alla sinfonia più bella mai scritta prima.

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