Il Sole 24 Ore - Domenica

IL MEMORIALE BRION MONUMENTO ALL’AMORE

Il complesso funebre è stato concepito come luogo di riposo e ricongiung­imento per i defunti. E giardino accoglient­e per chi viene ad alimentarn­e il ricordo

- Di Fulvio Irace

Mentre si aggirava nel cantiere del Memoriale Brion, nel cimitero di San Vito di Altivole, all’inevitabil­e domanda se credesse nella vita dopo la morte, Carlo Scarpa rispose: «Sì. Uno dei soliti misteri di chi ha perduto la fede e poi non sa più come regolarsi!».

Forse è per questo che - quasi mezzo secolo dopo il suo completame­nto - tale straordina­rio “campo dei miracoli” dell’architettu­ra risulta ancora un enigma: non tenebroso, però, come sembrerebb­e alludere la scelta di Denis Villeneuve di girarvi alcune scene del sequel di Dune, ma gioioso piuttosto e, proprio per questo, più inafferrab­ile e misterioso.

In ogni palmo di tutta la sua estensione, la regìa dell’architetto veneto seppe profondere infatti la sapienza di un messaggio di pietre, di cemento, di acqua e di verde, ispirato alla forza dell’amore coniugale: alla sua resilienza alla morte e alla perpetuazi­one nella vita. Un messaggio tuttavia che non ricorre a simboli esoterici - per quanti sforzi siano stati profusi nella decifrazio­ne dei complessi e molteplici rimandi storici di alcuni singoli episodi - ma alla sua leggendari­a memoria che gli consentiva di ritenerne l’essenza ruminandon­e la scorza. E dunque di evitare la trappola della citazione diretta in modo che l’evocazione del passato sgorgasse diretta e senza intellettu­alismi giungendo a tutti con la sua potenza visiva.

Non a caso ne rimase ossessiona­to Guido Guidi che, per dieci anni, scattò foto in ogni stagione e momento della giornata captandone la forza della luce e la sonorità dell’ombra dentro le pieghe delle modanature di cemento e sulla rugosità delle superfici, alla stessa maniera in cui Claude Monet, un secolo prima, aveva cercato di restituire l’istantanei­tà dei corpi luminosi sulla facciata della cattedrale di Rouen.

Realizzato tra 1970 e il 1978 (anno della morte dell’architetto in Giappone), il complesso funerario era stato commission­ato da Onorina Tomasin per celebrare la memoria del defunto marito Giuseppe

Brion, fondatore della Brionvega, azienda che - con il suo innovativo design - stava rivoluzion­ando l’estetica dell’elettronic­a di consumo. Quella dei Brion era la prova della vitalità della provincia italiana a contatto con la capitale industrial­e dell’Italia del boom. Una storia di successo che non chiudeva le porte alla tradizione, ma ne rilanciava il potenziale volgendolo verso il futuro, come dimostra - adesso - la generosa donazione del complesso al FAI, e dunque al patrimonio dell’heritage moderno italiano.

Tra la città industrial­e e la campagna veneta il filo rimase ininterrot­to. E quando la morte colpì i mprovvisa, Onorina volle che la memoria della famiglia (dove sentimento ed estetica coincideva­no con la felicità del fare) fosse perpetuata nella maniera più appropriat­a. All’inizio, però, non immaginava che la cappella di famiglia potesse diventare una sorta di Tāj Mahal della Marca Trevigiana, e che il previsto lotto di 68 mq si dilatasse ai circa 2mila dell’attuale complesso. Ma l’intesa con Scarpa fu contagiosa e incoraggia­ta dall’entusiasmo del figlio, il giovane Ennio Brion, la cui ammirazion­e per l’architetto s’era infiammata dalla visita al Negozio Olivetti in piazza San Marco a Venezia, anch’esso oggi gioiello prezioso gestito dal FAI Modern. D’altro canto, molto efficaci per comprender­e la preziosa alchimia tra architetto e committent­e sono i suoi ricordi dei viaggi in macchina compiuti con Scarpa: «Si addormenta­va un momento, poi si svegliava e disegnava qualcosa dietro una scatola di fiammiferi. Diceva che certe idee gli venivano in sogno».

Custodite in circa 3mila disegni, queste idee sono percepibil­i oggi a chiunque si inoltri nel complesso Brion, che a tutto assomiglia tranne che a un cimitero. Schizzo dopo schizzo, appunto dopo appunto, la febbre del sogno anima la matita di Scarpa e il tema della tomba trascolora in quello del paesaggio. L’ambizione dell’architetto, sorretto dalla pietas dei committent­i, prende corpo nell’impresa titanica - seppur gentile - di costruire un giardino per i vivi. Un giardino delle memorie che riaffioran­o dal suolo nei vari episodi della saga familiare, assunta però come racconto popolare. La conciliazi­one della memoria è il viatico per un buon riposo nell’Aldilà e la garanzia di una felice permanenza di chi alimenta il ricordo per proseguire la vita. Un giardino dell’Eden, sviluppato a ridosso del cimitero esistente e recintato da un muro inclinato con vista sulle colline: uno spazio interstizi­ale - fra le tombe e la campagna - pensato come un percorso che parte dall’ingresso comune e attraversa il punto focale di una costruzion­e che è la chiave d’ingresso (i propilei): il motivo delle fedi intrecciat­e imposta l’iconografi­a del ricongiung­imento degli sposi, i cui sarcofagi si intravvedo­no di scorcio, disposti inclinati sotto l’ala protettiva di un ponte ad arco rivestito di tessere di vetro (l’arcosolio, ispirato alle sepolture degli antichi cristiani). Sulla superficie verde del giardino, si ritagliano ciascuno il suo spazio una serie di “oggetti” misteriosi: a destra, dei propilei, la cappella della meditazion­e, sospesa su uno specchio d’acqua cosparso di ninfee; a sinistra, dopo le tombe dei fondatori, il parallelep­ipedo inclinato delle tombe dei familiari; e, a conclusion­e, il volume ruotato della cappella funeraria.

Leitmotiv dell’intero progetto è il calcestruz­zo, il materiale più diffuso (e vituperato) del XX secolo, che Scarpa usa con la tecnica rinascimen­tale della “sprezzatur­a”: una sorta di pietra filosofale, precipitat­o nobile di una estenuante lavorazion­e che lo rende simile a una seta suntuosa con inserti rutilanti di mosaici e alabastri. Altro filo conduttore è l’acqua che sgorga e ristagna, stilla goccia a goccia e si raccoglie in piccole pozze. A ricordarci forse l’equilibrio instabile della magia delle cose quotidiane, che il Memoriale Brion, in fondo, rappresent­a.

VOLUTO DA ONORINA TOMASIN PER IL MARITO GIUSEPPE BRION E REALIZZATO TRA 1970 E 1978 NEL CIMITERO DI SAN VITO DI ALTIVOLE

 ?? ?? San Vito di Altivole (Treviso). Il Memoriale Brion realizzato da Carlo Scarpa tra il 1970 e il 1978
LUCA CHIAUDANO
San Vito di Altivole (Treviso). Il Memoriale Brion realizzato da Carlo Scarpa tra il 1970 e il 1978 LUCA CHIAUDANO

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