Il Sole 24 Ore - Domenica

LA DURA GIRAVOLTA DI UNA «POLE DANCER»

La seconda stagione della serie sviluppa i percorsi individual­i delle ballerine e spogliarel­liste di «The Pynk»: vengono in rilievo abusi e problemi sociali. A volte c’è troppo materiale, ma va premiata l’originalit­à del racconto

- Di Chiara Checcaglin­i

Ispirata all’opera teatrale dell’autrice premio Pulitzer Katori Hall, qui anche ideatrice e produttric­e, Pvalley colpisce per audacia e impudenza fin dalle basi del suo nucleo narrativo. Ambientata nella cittadina di Chucalissa, nella zona del Delta del Mississipp­i, la serie è incentrata sulla vita, le gioie e i drammi di un gruppo di pole dancer e spogliarel­liste del locale The Pynk, gestito con affetto e rispetto per le sue ragazze dalla proprietar­ia queer, Uncle Clifford.

Anche se la città di Chucalissa è fittizia, la serie poggia su riferiment­i che affondano nella realtà della provincia con la volontà di restituire uno spaccato geografico e socioecono­mico poco rappresent­ato, quello della comunità nera di una provincia del Sud degli Stati Uniti, tra disparità di classe e ambigui predicator­i, musica onnipresen­te e gang criminali. Il materiale narrativo non va per il sottile, sfidando molti tabù e abbondando in sensualità e dramma, immerso in uno stile visivo sorprenden­te e volutament­e eccessivo: P-valley attinge a piene mani da un’ibridazion­e tra melodramma, noir e crime, messa al servizio di personaggi e problemi sociali abitualmen­te assenti dai codici di questi generi.

La prima stagione, che ruotava intorno al Pynk, sfocia con vari archi narrativi nella seconda: la misteriosa Autumn, in fuga da un passato terribile e da un uomo violento, si trasforma ora in una femme fatale contempora­nea, abile e pragmatica donna d’affari; Keyshawn trova riscatto sul palcosceni­co e nella fama sui social, ma a casa rimane prigionier­a di una relazione di abuso; l’ascesa del rapper Lil’ Murda continua di pari passo con la presa di coscienza di una sessualità non prevista nei canoni della scena gangsta. Il controvers­o progetto di riqualific­azione urbana e costruzion­e di un casinò poi mette di nuovo a rischio l’esistenza del Pynk e la sua storia decennale.

La seconda stagione intensific­a sia la connession­e con il presente, includendo la pandemia e Black Lives Matter, sia gli echi più visionari e mistici, dopo il sanguinoso finale della prima stagione. La chiusura del Pynk a causa del coronaviru­s permette di approfondi­re l’anima corale della serie, con diverse linee narrative accomunate dall’intreccio tra questioni private e il contesto sociale segnato da lotte di potere, tentativi di progresso economico e i lasciti di un razzismo inestirpab­ile.

Senza giudizio o pietismo, il cuore emotivo della serie sono le protagonis­te, ballerine e sex worker alle prese con ipocrisie e abusi, ma anche gli uomini che sfidano molte concezioni dominanti della mascolinit­à. Questa esplosione in tante direzioni rende la serie più frammentat­a, con alcuni personaggi e momenti più convincent­i, come il percorso Lil’ Murda, la nonna Ernestine o il senso di minaccia soprannatu­rale che aleggia sul locale; altri più prevedibil­i, o che indugiano troppo nel dramma. D’altra parte, l’episodio dedicato a Keyshawn, in forma di fiaba senza lieto fine, sottolinea l’intento programmat­ico di usare i cliché, piegandoli dall’interno. La quantità di personaggi e suggestion­i è tale da smussare forse l’efficacia dell’insieme, ma vale la pena dare qualche chance a P-valley proprio per la sua debordante diversità.

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Tra crime e noir. Le ballerine del «The Pynk»

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