MIRABILIA SEMPé, LA MATITA POETICA DEL NOVECENTO MIGLIORE
»Il senso profondo dell’arte di (Jean-Jacques) Sempé (1932-2022) mi è sempre sembrato racchiuso in quel gattino disteso, non ignaro ma sovranamente indifferente ai traffici, alle luci, insomma al caos del mondo, là fuori. È una delle oltre cento copertine per il «New Yorker» che questo grande artista francese, scomparso la settimana scorsa, ci ha regalato nel corso di un’inimitabile carriera. Sì, lo so, che ora dovrei parlare di Nicolas, ragazzino che, con e nella sua classe, combina marachelle e irride gli adulti, il personaggio che gli ha dato fama: eppure io voglio ricordarlo per i suoi millanta ciclisti, fonte di eterna ispirazione, gli innamorati teneri nei parchi, le signore dabbene e i mariti col cappello. Per le botteghe di una volta, che rievocava al meglio, i bambini che fanno capriole su spiagge deserte, e quegli amici negli anta, bardati di cappotto e sciarpa che camminano fianco a fianco nel viale, ricordando, gesticolando, sacramentando. Lo voglio onorare per le foglie che cadono copiose da ventosi alberi autunnali, le giostrine, e, sì, i gatti: i gatti in biblioteca; e dovunque. Perché sornione e imprendibile, come un gatto, è stato Sempé. E lo celebro per quei suoi piccoli, radi, meravigliosi libri a fisarmonica: su tutti un romanzo senza parole: una signora sferruzza alla finestra, e vede arrivare la giovane dirimpettaia, la segue, negli anni, mentre fa marciare la sua vita e poi... muore: resta la sedia vuota. Ma, giro di inquadratura, e il romanzo reinizia: ora alla finestra è la ex giovane, divenuta vecchia (e con ferretti), che scruta la nuova dirimpettaia. C’est la vie. Con Sempé va via un altro pezzo del miglior Novecento – secolo delle immagini per e sui giornali, secolo che svanisce, nei modi e nei ricordi, e che non è stato tempo, ma modo di vivere. Ci mancherà, lui; e Sempé, che lo ha ritratto con la sua poeticissima matita e un sorriso, disarmante, per tutti noi.