COSA ACCADE DAVVERO A BORDO DELLE NAVI UMANITARIE
«Portavamo a bordo le persone e vedevamo dei morsi sulle gambe, all’inizio non capivamo. Sai cos’erano? I segni di chi annegava sul fondo del gommone». I trafficanti di uomini possono riempire le barche così tanto che le persone vanno estratte con la forza. Si viaggia in piedi, affastellati. Chi non riesce più a tenersi dritto scivola sul fondo e non ha lo spazio per rialzarsi. Muore col viso schiacciato in dieci centimetri di liquidi.
Per far capire ciò che accade ai profughi che tentano di attraversare il mare, in Mediterraneo. A bordo delle navi umanitarie, Caterina Bonvicini parte dai dettagli. Dall’odore della melma che stagna sul fondo dello scafo, dalle ustioni chimiche provocate dal carburante che spesso vi è disciolto, dal dolore cronico di chi è stato torturato, dal numero di telefono sui pantaloncini del cadavere di un bambino: scritto dai genitori per essere avvertiti in caso di morte. O dalle ferite non rimarginabili dei soccorritori che hanno dovuto scegliere chi salvare per primo e chi lasciare affogare. Volontari «che a vent’anni non avevano paura di prendersi la responsabilità della vita e della morte degli altri. Bruciando come candele, consapevoli, serissimi, impegnati in qualcosa di più grande di tutti noi. E solo perché andava fatto e basta».
Scrittrice oltre che giornalista, Bonvicini conosce l’importanza dei particolari, la capacità che hanno di far capire ciò che altrimenti è fuori portata. «La nostra immaginazione è banale perché non conosciamo i dettagli. (...) È pericolosa perché è banale. La nostra immaginazione, banale e pericolosa, è facilmente manipolabile e viene usata contro di noi». Tra le pagine riflette sulla difficoltà e sulla necessità di trasmettere ciò che ha visto a bordo di alcune delle navi che vanno alla ricerca dei naufraghi che Italia e Unione europea hanno deciso di non salvare più. Anzi, hanno deciso di pagare i libici perché li riportino nelle prigioni dove sono torturati, ridotti in schiavitù, stuprati, ammazzati. Parole vuote, cui l’opinione pubblica si è di nuovo abituata, dopo l’emozione suscitata nel 2013 dal naufragio di 540 persone davanti a Lampedusa, dopo che nel 2015 entrò in tutte le case la foto del cadavere di Alan Kurdi, profugo siriano di tre anni riverso su una spiaggia, la testolina ancora lambita dalle onde. Lasciata da parte la retorica, Bonvicini lavora sull’immedesimazione del lettore, oltre che sulla completezza dell’informazione e sull’esplorazione dei vari punti di vista. Il risultato è un libro che tutti dovrebbero leggere. «Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, quella verità. Chiunque giri le spalle, chiuda gli occhi o passi oltre offende la memoria dei caduti» afferma Vasilij Grossman in L’inferno di Treblinka (1944). E ciò che stiamo lasciando accadere nel Mediterraneo è davvero «una resa davanti alla vita di centinaia di migliaia di persone. Una resa davanti alla storia».
Mediterraneo
Caterina Bonvicini
Con un saggio e le fotografie di Valerio Nicolosi
Einaudi, pagg. 232, € 16