TUTTI I MISTERI DI ENRICO MATTEI
Il film inchiesta di Francesco Rosi racconta personalità e spregiudicatezza del leader dell’Eni. E la sua tragica fine
Pochi film come Il caso Mattei di Francesco Rosi trasmettono l’idea di cosa è stata l’Eni nello sviluppo economico italiano, quali interessi, palesi e sotterranei ha messo in discussione la spregiudicata politica del suo leader, quanti misteri avvolgono ancora la sua morte, quando il suo aereo precipitò mentre si accingeva ad atterrare a Linate in un buio pomeriggio, il 27 ottobre 1962.
La vicenda è narrata con tecniche da film d’azione, collegando fra loro vari episodi della vicenda umana e aziendale di Mattei, partendo proprio dalla notizia dell’incidente e dai primi dubbi. È un film inchiesta, come era nello stile di Rosi, ma con uno stile mozzafiato e scandito dalla magistrale interpretazione di Gian Maria Volonté.
Mattei era un tecnico (diventerà ingegnere, ma più tardi e honoris causa) che aveva aperto a Milano un laboratorio chimico prima della guerra, aveva fatto la Resistenza, con idee politicamente vicine alla Democrazia cristiana di sinistra (era molto amico di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze nel dopoguerra), era stato deputato per la Democrazia cristiana nella prima legislatura, poi nominato commissario liquidatore di uno dei tanti enti dello Stato fascista, l’Agip.
Fu la grande svolta perché Mattei si rese subito conto che l’azienda era tutt’altro che da rottamare e che molti privati erano pronti a trarre profitto da una sua frettolosa liquidazione. Da rimarcare, anche se il film non ne parla, il parallelo con le vicende di un altro grande protagonista di quei tempi, Ernesto Rossi, che era stato mandato a liquidare l’Arar che doveva dismettere l’enorme patrimonio di residuati bellici lasciati dagli alleati e che egli invece trasformò in uno dei primi motori della rinascita economica, vendendo a condizioni vantaggiose veicoli e attrezzature di ogni tipo ad artigiani e piccoli industriali che avevano molta voglia di produrre e pochi mezzi.
Mattei capì che l’Agip poteva essere la chiave per aprire all’Italia le porte dell’indipendenza energetica ed ebbe un colpo di fulmine quando trovò in azienda una relazione che asseriva l’esistenza di un cospicuo giacimento di metano e forse anche di petrolio in Val Padana.
Qui mostrò tutta la sua astuzia imprenditoriale. Fece salire ad arte l’interesse sottolineando su tutti i media l’importanza economica della scoperta per l’Italia, che vedeva ridursi la sua tradizionale dipendenza energetica, e per l’economia padana, ancora molto povera. E poiché sapeva che il petrolio faceva più notizia del metano, disse che c’era anche quello: l’Agip reclamizzò per qualche tempo la benzina venduta alle sue pompe come «Supercortemaggiore, la potente benzina italiana».
Il petrolio naturalmente non c’era, ma l’estrazione e la vendita del metano (a prezzi molto remunerativi) misero l’Agip sulla piattaforma di lancio: nel 1952 nasceva l’Eni, con quattro sub-holding, fra cui Agip insieme al suo logo di oggi, il cane a sei zampe, «fedele amico dell’uomo a quattro ruote» uno slogan che sottolineava il nesso con la motorizzazione che stava nascendo, anche se la Fiat 600 sarebbe arrivata di lì a tre anni.
Non contento di questo successo, Mattei si mise in caccia del petrolio che non aveva trovato in patria e qui si scontrò con tutti gli intrighi della politica internazionale: era ormai chiaro che i grandi giacimenti erano nel Medioriente e nel Nord Africa (oltre che in Russia) e su entrambi i fronti erano già avvenuti fatti inquietanti tutti rievocati nel film. In Iran nel 1952 era stato condannato a morte il primo ministro Mossadeq, reo di aver denunciato la convenzione con l’AngloIranian Oil Company firmata dallo Scià prima della guerra. Nel 1956 truppe britanniche, francesi e israeliane avevano occupato il Canale di Suez, che era ormai diventato l’autostrada del petrolio. Pochi anni dopo cominciarono la guerra d’Algeria e i primi fermenti nel Nord Africa.
Mattei non esitò ad entrare a testa bassa in questo terreno minato. Era mosso da tre fermi convincimenti: l’Eni era responsabile della politica energetica italiana; le condizioni che i Paesi occidentali applicavano (Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia cui facevano capo le “sette sorelle”) erano inique perché lasciavano le briciole ai Paesi produttori; le tensioni degli anni Cinquanta erano destinate a sfociare in lotte di indipendenza e guerre sempre più aspre.
In una delle scene chiave del film Mattei proclama con fierezza: «Chi fa politica energetica, fa politica, politica estera. È il monopolio degli americani che ha portato la nostra attività a queste conseguenze». E Mattei sentiva l’orgoglio, in quanto impresa pubblica, di potersi muovere con una visione dell’interesse nazionale ben più ampia delle imprese private che infatti lo avversarono in ogni modo. Ma affermò sempre di rispondere a 50 milioni di italiani, esattamente come le imprese private rispondevano ai loro azionisti. Rimproverò anzi un ministro che in televisione non aveva usato l’argomento decisivo: l’iniziativa pubblica ha il dovere di intervenire, quando quella privata è insufficiente.
Naturalmente questo porta subito ai lati discussi del personaggio. In primo luogo i rapporti con i media che lo indussero a creare un giornale («Il Giorno») poiché, si difese, tutti gli altri facevano capo a imprenditori privati. Ma soprattutto capì al volo il lato debole della classe politica: il vil denaro. Come disse Montanelli, Mattei fu «l’incorruttibile corruttore di una politica che non chiedeva di meglio che di essere corrotta».
Nel film c’è anche il mistero nel mistero: Rosi aveva incaricato il giornalista Mauro De Mauro di informarsi sugli ultimi due giorni di vita di Mattei, in occasione dell’annuncio di un giacimento di metano in Sicilia. Ma De Mauro sparì misteriosamente dopo pochi giorni. La polizia seguì sempre la pista di un collegamento con l’incarico ricevuto. Michele Pantaleone, grande conoscitore di mafia, scrisse che era morto «per sapere quello che non sapeva di sapere».
Infine c’è il mistero della caduta dell’aereo. Rosi non sposa nessuna tesi, ma sottolinea tutti i lati oscuri e soprattutto la fretta con cui si cercò di avvalorare la tesi dell’incidente. Molti anni dopo, su richiesta della figlia di Mattei, la magistratura riaprì l’inchiesta e giunse alla conclusione che si trattava di un attentato. Questa è oggi la realtà processuale.
Il film offre anche un altro spunto sui rapporti fra cinema e impresa. Se Rosi ci ha consegnato un capolavoro è anche perché il produttore Franco Cristaldi ha avuto un coraggio da grande imprenditore affrontando un tema così scomodo e concedendo ben due anni per la ricostruzione necessaria. Ha preso un rischio economico, ma anche politico ed è stato premiato dal successo al botteghino e dalla Palma d’oro a Cannes. Un coraggio che l’industria di oggi sembra non trovare.
Nonostante che al Festival di Venezia del 2012 sia stata presentata una versione restaurata del film, nessun imprenditore ha finora rischiato nella produzione di un Dvd e le grandi reti continuano ad ignorarlo. Come direbbe Spielberg: salvate il soldato Il caso Mattei.
IL CORAGGIO DEL PRODUTTORE CRISTALDI NELL’AFFRONTARE UN TEMA COSì SCOMODO: UN RISCHIO ECONOMICO E ANCHE POLITICO
Quarta puntata di una serie. La prima è uscita il 10 luglio, la seconda il 24 luglio, la terza il 14 agosto