ERARDO TRENTINAGLIA FECE VOLAR «ROSMUNDA»
La storia dell’opera del riscoperto compositore veneziano (che vi lavorò su libretto scritto da Sem Benelli). Il figlio Italo avrebbe fondato nel 1962 il Festival sul Lago Maggiore
lenato il subentrante Elmichi, in parallelismo perfetto.
Dopo Milano, la Compagnia di Sem Benelli replica al Goldoni, in Laguna. Tra il pubblico siede il compositore veneziano, fresco di diploma al Conservatorio Benedetto Marcello, allievo del severo direttore dell’Istituto, il baffuto Mezio Agostini: nobile rampollo, palazzo di famiglia tuttora in campo Sant’Angelo, a due passi dalla Fenice, radici intrecciate con le rive del Lago Maggiore. Il giovane Trentinaglia de Daverio ottiene di mettere in musica Rosmunda. Firmano il contratto nel 1913 (ben prima della Cena delle beffe di Giordano, 1924). Ma arriva la guerra. Entrambi sono al fronte. Al ritorno il compositore figura in più stagioni nel direttivo della Fenice e nel 1926 fonda la Società veneziana dei concerti sinfonici, di cui sarà presidente per i primi due anni: ha una visione pionieristica, dotare il teatro d’opera di una base sinfonica. A casa Ostali, il proprietario di casa Sonzogno, poi editore dell’intera produzione di Trentinaglia, si tiene una esecuzione privata di Rosmunda, la moglie al pianoforte (spartito perfetto) e lo stesso autore che accenna le diverse parti vocali: siamo finalmente al preludio a teatro. Le cronache riportano 51 chiamate alla prima, a Novara; alla Fenice gli incassi a sera raddoppiano quelli della contigua Butterfly, incredibile; la critica unanime applaude compositore e interpreti, il soprano Gilda Dalla Rizza, il baritono Carlo Galeffi, mentre sul podio si alternano Edoardo Guarnieri (nipote di Antonio) e Piero Fabbroni, l’alto artigianato perduto di scuola italiana.
Nel 1924, sciolta la Camera, in vista delle elezioni di aprile con il “listone” di nomi fascisti, Sem Benelli declina l’offerta di fare da capolista per la circoscrizione di Firenze. Solo otto mesi, dal primo ottobre 1931 al 2 giugno 1932, durerà l’incarico di Erardo Trentinaglia quale direttore generale della Scala, in un Teatro sotto pressione e con debiti ereditati dalla gestione precedente, firmata da Anita Colombo. Il compositore rilascia interviste programmatiche (vuole creare un’orchestra stabile, non avventizia) mentre scrive un memoriale di date e nomi, un calvario di ingerenze, in particolare del politico fascista Jenner Mataloni, che ovviamente sarà il suo successore alla Scala, fino al 1942. In morbido veneziano e per l’ilarità delle donne di casa, di ritorno da Roma a Stresa, il compositore racconterà degli occhi roteanti di Mussolini nel ricevere il foglio con le dimissioni. Morirà a Venezia, il 3 giugno 1950, e la notizia campeggia fin sulle colonne del «New York Times».
Ai funerali l’orchestra della Fenice suona nel chiostro di Santo Stefano. A lungo in Sant’Angelo si sarebbe raccontato della Callas degli esordi veneziani, nel 1947, che una sera aveva cantato Rosmunda a casa Trentinaglia, i vetri delle finestre che tremavano, la voce che riempiva tutto il Campo.
IL MUSICISTA DIVERRà DIRETTORE GENERALE ALLA SCALA. MA PAGHERà LA SUA OPPOSIZIONE AL FASCISMO