TRA IDENTITà E CITTADINANZA IN MEDIORIENTE
Questi due libri, a una prima lettura, ci parlano di Medioriente come anomalia. A mio avviso suggeriscono, anche, alcuni punti dell’agenda delle democrazie del XXI secolo nonché delle loro crisi attuali.
Comincio dal volume di Lorenzo Kamel che ha per tema la Palestina tra XIX e XX secolo. La costruzione del Canale di Suez (inaugurato nel 1869) genera una «grande trasformazione» di quell’area: crisi e poi tracollo della società tradizionale costruita nel sistema dell’Impero ottomano che parte nell’ultimo quarto dell’Ottocento per poi giungere fino alle soglie del processo di spartizione nel novembre 1947. All’origine le pratiche speculative di cui appunto l’impresa di Suez costituisce un paradigma - come anni fa ha ricostruito con precisione David S. Landes nel suo Banchieri e pascià (Bollati Boringhieri 1990) - poi le pratiche legislative e politiche del tempo del mandato britannico (1920-1948) che Kamel giudica come generative dei termini attuali del conflitto israelo-palestinese.
Dentro al profilarsi di quel processo, Kamel si concentra su vari fattori: come avviene il percorso di arrivo, acquisto, e messa in produzione della terra da parte dei flussi migratori degli ebrei a partire soprattutto dal primo decennio del ’900; come si muove la diplomazia britannica in quell’area, favorendo quei flussi; come quei flussi spostino e marginalizzino la popolazione araba locale grazie alle scelte delle grandi famiglie arabe proprietarie che non si curano di tutelare gli interessi dei loro presunti «tutelati».
Accanto sta una strategia politica del movimento sionista volto a mettere a reddito i terreni acquisiti, concentrato a costruire gli apparati preliminari di una amministrazione statale, un welfare (strutture educative, politiche urbane, tutela del risparmio e degli investimenti). Uno stato sociale che gli arabi locali non costruiscono, e le cui classi politiche e sociali alte non si preoccupano di mettere in piedi.
L’effetto di queste scelte è la consegna di un quadro - almeno della spartizione decisa all’Onu il 29 novembre 1947 - che già in quel momento presenta molti tratti di quello attuale.
Considero ora
Enrico Campelli.
Il tema che Campelli indaga è rappresentato dai percorsi di cittadinanza che non vanno intesi in senso solo formalmente giuridico, ma anche, e forse soprattutto, riferiti al campo dell’appartenenza e, insieme, a quello di identità.
Per molti, nel linguaggio corrente, l’immagine di Israele è quella di un Paese che discrimina, che stabilisce un doppio binario del diritto. In breve una condizione di «apartheid». La realtà è più complicata delle etichette, ci dice Enrico Campelli.
Lo stato di Israele sul piano del diritto non include il diritto ebraico (ovvero diritto del popolo ebraico, dall’epoca biblica fino ai nostri giorni) nel diritto israeliano fatta eccezione per la questione dello status personale, su cui poi si definisce la legge del ritorno e dunque la possibilità di godere dei diritti di cittadinanza da parte di qualsiasi ebreo non nato in Israele. il volume di
Significa almeno tre cose: 1) Ci sono diritti di acquisizione della cittadinanza che distinguono tra ebrei e non ebrei; 2) ci sono diritti della tutela della persona che non distinguono tra ebrei e non ebrei (per esempio per quel che riguarda l’educazione e la sanità); 3) ci sono diritti di rifugio e/o di accoglienza che non riguardano né gli ebrei né gli israeliani non ebrei, ma riguardano terzi (per esempio il caso dei profughi islamici del Darfur, accolti in Israele, non accolti nei Paesi islamici).
Questo processo è il sintomo delle metamorfosi che la democrazia attraversa in questo nostro tempo (come ha richiamato Yascha Mounk nel suo Popolo vs Democrazia, e ora con Il grande esperimento, entrambi Feltrinelli). Insieme - ed è un’ipotesi che l’autore propone di discutere e che Langer sottintende – è appropriato parlare di «democrazia etnica», un sistema che combina l’estensione dei diritti politici e civili individuali in riferimento ad appartenenze di gruppo anziché di «apartheid» che riconosce diritti individuali e civili solo a un gruppo specifico?
Abbandoniamo Israele e proviamo a ragionare su noi e i malesseri delle nostre democrazie.
Se, come sostiene Mounk, tutti i processi di melting pot sono venuti meno; se il paradigma salad bowl (la convivenza di percorsi culturali distinti) anziché favorire processi di integrazione e di reciproco interesse e rispetto, ha aumentato quelli di frammentazione, di esclusione, comunque di coltivazione del proprio «particulare», allora dobbiamo chiederci: 1) il presente offre anche a noi, qui, un quadro di «democrazia etnica»? 2) Quanto ne siamo consapevoli? 3) Sappiamo come intraprendere un percorso per disinnescare questa parabola?
Prove di convivenza. L’istituto della cittadinanza nell’ordinamento giuridico israeliano
Enrico Campelli Giuntina, pagg. 270, € 18
Terra contesa. Israele, Palestina e il peso della storia
Lorenzo Kamel
Carocci, pagg. 340, € 29