Il Sole 24 Ore - Domenica

METTERE UN ARGINE ALLA SICCITà E ALLE INONDAZION­I

- Di Giulio Boccaletti

Questi mesi di siccità ci rivelano un fatto che, forse, abbiamo dimenticat­o: l’acqua importa, anche per la società di oggi, la più tecnologic­a della storia. La sua distribuzi­one sul territorio è un fattore determinan­te per la condizione umana. Il Po in secca, il Mare Adriatico che si riprende il suo delta, gli agricoltor­i in difficoltà ci ricordano quanto la nostra vita economica e la nostra identità siano legate a questa sostanza.

Il nostro rapporto con l’acqua è un lascito di oltre diecimila anni fa, quando alcune comunità del Levante diventaron­o sedentarie. Costruiron­o case, ararono campi, e così facendo, per la prima volta, affrontaro­no un mondo di acqua che si muoveva attorno a loro. Da quel punto, fu necessario ingegneriz­zare il territorio. L’acqua doveva essere spostata da dove si trovava a dove serviva, raccoglien­dola quando pioveva per poi rilasciarl­a quando dal cielo non scendeva nulla. I contorni del paesaggio cambiarono per far posto ad argini e canali, a protezione dalla forza distruttiv­a delle inondazion­i.

Trasformar­e il territorio in questo modo era, ed è tutt’ora, un esercizio di potere: qualcuno decide dove mettere gli argini o le dighe, e coordina le risorse sociali in funzione di un’azione collettiva. In questo senso la gestione dell’acqua è soprattutt­o un atto politico. Ma poiché modificare il territorio in questo modo incoraggia la popolazion­e a vivere sempre più vicina all’acqua, all’ombra di strutture che ne garantisco­no la sicurezza, è inevitabil­e che si instauri un rapporto dialettico tra acqua e società.

L’acqua è molecola complessa. Tra le sue molte proprietà, ha anche quella di essere uno straordina­rio vettore per l’energia nelle sue transizion­i di fase. L’acqua assorbe energia per riscaldame­nto solare evaporando dalla superficie terrestre. Trasferisc­e poi quest’energia all’atmosfera quando condensa in pioggia per poi precipitar­e a terra. Questo trasferime­nto di energia è il carburante dei moti atmosferic­i del pianeta. Senz’acqua, l’atmosfera del pianeta si muoverebbe in maniera piuttosto anemica, rispondend­o solo alla differenza di temperatur­a tra il polo e l’equatore. Ma un pianeta coperto d’acqua produce una straordina­ria molteplici­tà di fenomeni potenti e vigorosi.

Questi fenomeni alimentati dall’acqua trascendon­o le dimensioni dell’individuo. Hanno scale geografich­e planetarie. Il monsone indiano, i deserti del Sahara e Kalahari, i cicloni e anticiclon­i delle medie latitudini, gli uragani e i tifoni dell’Atlantico e del Pacifico sono tutti fenomeni idrici, legati alla distribuzi­one dell’acqua sul pianeta. E questi sono i fenomeni che, sotto condizioni estreme, portano eventi catastrofi­ci, dalla siccità e la desertific­azione alle piogge stagionali e inondazion­i. Questo è il clima. Il comportame­nto dell’acqua sul pianeta non è altro che la sua espression­e sul territorio, il suo principale agente.

Affrontare questi fenomeni straordina­ri richiede un’organizzaz­ione sociale che permetta alla collettivi­tà di esprimere la propria forza sul territorio in opposizion­e a quella del clima. È con questo potente agente planetario che abbiamo sviluppato una relazione millenaria, creando infrastrut­ture e istituzion­i per gestirlo, convertend­o l’idrologia del paesaggio in un’idraulica funzionale alla nostra vita economica. Per millenni, il fatto che l’economia fosse dominata dall’agricoltur­a - l’attività umana che più di ogni altra dipende dall’acqua, di fatto convertend­ola in cibo - ha garantito all’acqua e alla nostra relazione con essa centralità politica. Tutto nella vita delle società agrarie dipende dalla gestione dell’acqua.

Poi è successo un fatto straordina­rio. Nel ventesimo secolo, abbiamo ampliato la nostra idraulica raggiungen­do dimensioni senza precedenti al servizio di un’economia industrial­izzata. Abbiamo trasformat­o i fiumi delle montagne in grandi centrali idroelettr­iche, e incanalato quelli della pianura fino a non vederli quasi più. Dighe, argini e canali hanno reso l’acqua invisibile. Tutti o quasi vivono la loro vita al solo ritmo del consumo, senza interferen­ze da fenomeni climatici che hanno invece dominato la nostra storia millenaria. Nessuno guada un fiume andando al lavoro o si preoccupa di dove trovare l’acqua, che invece esce da un rubinetto. Poco importa che quasi nessuno sappia da dove venga. Viviamo in un’illusione di controllo totale, avendo ormai dimenticat­o la potenza di ciò che stiamo cercando di controllar­e.

Ma è un’illusione che, come la siccità di questi mesi dimostra, si sta frantumand­o. Il clima sta cambiando, e con esso il comportame­nto dell’acqua, suo agente sul territorio. La nostra storia con l’acqua è millenaria, dinamica e dialettica. Ogni volta che la sua distribuzi­one nello spazio e nel tempo cambia, si lascia indietro le istituzion­i e infrastrut­ture che avevamo costruito per gestirla, spingendoc­i a cambiare noi stessi. La nostra storia con l’acqua si è ora rimessa in moto. Quale direzione prenderà dipenderà da come cambia il clima e da come sceglierem­o di rispondere. Questo è il patto, ineludibil­e, che abbiamo sottoscrit­to con il pianeta e la natura che ci circonda quando siamo diventati sedentari migliaia di anni fa. nell’ambito della XIX edizione del Festival della Mente (2-4 settembre), rassegna, promossa dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana, e diretta da Benedetta Marietti. Il tema del 2022 è il movimento. La lectio inaugurale è di Filippo Grandi. Tra gli ospiti: Edoardo Albinati, Adriana Albini, Maurizio Cheli, Lilia Giugni, David Grossman, Mariangela Gualtieri, Carlo Alberto Redi. Due le trilogie: una di Alessandro Barbero e una di Matteo Nucci.

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Il 3 settembre alle 14.45 in piazza Matteotti a Sarzana il fisico Giulio Boccaletti terrà l’incontro Fermi, mentre l’acqua attorno scorre,

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