RIFLESSI NEL GRANDE SCHERMO AMORE VULCANICO INDOMABILE
»C’è una storia d’amore tra un uomo e una donna, in Fire of love (Canada e Usa, 2022, 93’). E c’è la storia di un altro amore, fatto di una paura “buona” che si trasforma in curiosità e conoscenza. Per raccontarle, Sara Dosa usa una parte minima delle immagini girate in 16 millimetri da Katia Conrad Krafft e Maurice Krafft tra gli anni 70 e il 1991. Entrambi nati in Alsazia, ed entrambi sin da bambini attratti dal mistero dei vulcani, Katia e Maurice si conoscono nel 1966 e si sposano nel 1970. Non avranno figli – così decidono –, e dedicheranno tutta la vita alla loro passione: scrutare negli abissi di fuoco del nostro pianeta, avvicinarsi il più possibile alla loro verità. «Questa terra viva», così lui dice dello spettacolo di «estasi e solitudine» della sciara di fuoco dello Stromboli vista attorno al 1965. Poi, per vent’anni, si interroga con lei su quello che forma e riforma il mondo, lo stesso mondo che tutti diciamo nostro, certi di avere strumenti culturali, scientifici e filosofici che ce ne facciano padroni.
Questa certezza – questa illusione antica – sembra negata da Fire of love. «Comprendere è un altro nome dell’amore», dice la voce fuori campo in uno dei suoi pochi interventi. Ma l’amore raccontato da Dosa non è possessivo, non è riduttivo. Di fronte al suo oggetto – ai segnali di un tutto strapotente che vengono dall’abisso su cui noi stiamo – non pretende di esaurirlo, e in un certo senso di addomesticarlo. Come può capitare per gli amori più grandi, Katia e Maurice tendono a raggiungerlo, sapendo che è irraggiungibile. I vulcani non sono classificabili, dice Maurice, sfuggono a ogni nostro sistema di comprensione. E per questo, per elaborarne e contenerne la paura, occorre esserne curiosi, occorre escogitare artifici per scendere nel loro fuoco. Questa è la conoscenza del mondo che pure chiamiamo nostro, un tentar di classificare, un amore che tende al suo oggetto senza mai raggiungerlo. È un grande piccolo film, Fire of love. Accese le luci in sala, a noi piace pensarci al posto di Katia, in contemplazione sull’orlo dell’abisso, impauriti e innamorati.