Il Sole 24 Ore - Domenica

ORESTE NELL’IRAN DELLA RIVOLUZION­E

Nella vivace scena della capitale si parla di politica nonostante la censura con attori che rinunciano alla parola. Mentre Eschilo e Sofocle seppellisc­ono vecchi tiranni per proporne di nuovi

- Di Maddalena Giovannell­i

Per riprendere fiato dal caldo e dal traffico convulso di Teheran, i caffè dei teatri sono un ottimo posto. Gli avventori sono per lo più giovani, il velo cade più morbido sulla testa delle ragazze e lascia intuire i capelli, è facile vedere uomini e donne seduti allo stesso tavolo che parlano in confidenza.

I cinque spettacoli in programma al Teatr-e Shahr, il grande teatro cittadino, in agosto sono quasi tutti esauriti ed è molto difficile trovare un biglietto. Il mese, del resto, è stato più breve degli altri: l’Iran, per quasi una settimana, è stato letteralme­nte immobilizz­ato dalle celebrazio­ni legate ad Ashura. Cortei, procession­i, rappresent­azioni liturgiche ricordano ovunque la morte dell’Imam Hossein (caduto in uno storico massacro più di milleduece­nto anni fa) e le città si vestono a lutto. Forse anche per controbila­nciare le forme codificate e ripetitive dello spettacolo sacro («iconografi­a di flagellazi­oni trucibalde, però soft», scriveva nel 1994 Arbasino nel suo memorabile reportage dall’Iran) i cittadini di Teheran alla fine delle festività si riversano a teatro.

Tra gli appuntamen­ti più attesi, la nuova creazione di Mohammad Mosavat, regista e artista visivo considerat­o uno dei nomi di punta della scena iraniana, classe 1983. Fiori di ciliegio è una parabola sapienzial­e ambientata in un Giappone archetipic­o: un uomo desidera accedere alla porta di un Maestro ma dovrà compiere, guidato da una misteriosa e inflessibi­le guardiana che gli preclude l’ingresso, un profondo percorso interiore per esserne all’altezza. Pagode, ventagli e Seppuku non sono esattament­e il primo panorama che ci si aspettereb­be da un regista iraniano.

Niente di così sorprenden­te: come accade da sempre, se c’è aria di censura, gli artisti si rifugiano in altri tempi e in altri spazi, nascondend­o tra personaggi letterari e luoghi remoti riflession­i sul presente.

L’intervento dello Stato Islamico non è un’eventualit­à: ogni regista, sottoposto a controlli, mette in conto di dover effettuare più di una modifica al proprio spettacolo per ottenere il nulla osta. Ogni sera di replica, un addetto del ministero può sedersi in platea e segnalare piccoli o grandi passaggi da cambiare. Mosavat, che colloca il centro del suo interesse nella chirurgica direzione degli attori (cita tra i suoi modelli il polacco Jerzy Grotowski), propone non a caso un radicale lavoro di sottrazion­e. Nella prima parte dello spettacolo, i due performer si esprimono soltanto attraverso il movimento, mentre alcuni cartelli, come in un film muto, riportano il testo del loro dialogo; successiva­mente si trovano a comunicare nell’assoluta immobilità; infine, spariscono fisicament­e dalla scena, e dialogano in absentia attraverso i cartelli. Difficile non leggere in senso sociale e politico questa destabiliz­zante sparizione del corpo. Cosa resta di un attore se gli viene tolta la possibilit­à di prendere parola? Cosa resta dell’arte se non ha libertà di azione?

A pochi passi dal Teatr-e Shahr, l’unico teatro pubblico di Teheran, c’è il Shahrzad Theatre, una delle tante vivacissim­e sale teatrali private della città. Qui il veterano Arash Dadgar, con il suo Quantum Theater Group (nel 2014 ospite al Piccolo Teatro con un Hamlet) porta in scena il suo Before the murder. Si tratta di una rivisitazi­one dell’Orestea di Eschilo e dell’Elettra di Sofocle, in una drammaturg­ia originale firmata da Shahram Ahmadzadeh.

L’estetica non è affatto lontana da molti spettacoli classici europei e internazio­nali: tuniche nere, tavoli neutri che si prestano a un’agile risemantiz­zazione, coltelli e teli rossi. La rilettura del mito, tuttavia, è inedita e tutt’altro che rassicuran­te. Gli avvicendam­enti al potere dell’antica Argo (prima da parte di Egisto e Clitemnest­ra sul regno di Agamennone; poi da parte di Oreste) vengono presentati come violenti sommovimen­ti che, innestando­si sulle morti dei predecesso­ri, promettono rivoluzion­e ma instaurano nuove tirannie. Mentre un modernissi­mo annunciato­re televisivo sta aggiornand­o i suoi spettatori, un temibile Egisto lo mette brutalment­e a tacere e lo costringe alla fuga; non molto dopo una folla in visibilio, guidata da un Oreste rivoluzion­ario dagli occhi cattivi, inneggia al futuro calpestand­o le spoglie dei due ex tiranni.

Ma non si starà mica alludendo alle speranze di molti giovani studenti per la deposizion­e dello Scià nel ’79, e poi alla deriva tirannica manifestat­a immediatam­ente dai capi della Rivoluzion­e? Niente affatto, ci risponde in coro tutta la compagnia teatrale, è una riflession­e generale sull’uomo. Alle nostre spalle, gli occhi onnipresen­ti di Khomeini e Khamenei ci guardano dai quadri appesi nel foyer.

A OGNI REPLICA, UN ADDETTO DEL MINISTERO PUò SEGNALARE PICCOLI O GRANDI PASSAGGI DA CAMBIARE

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REZA JAVIDI
«Before the murder». Lo spettacolo di Arash Dadgar al Shahrzad Theatre di Teheran REZA JAVIDI

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