C’ERA UNA VOLTA CAPRI, NATURISTA E SELVAGGIA
Nella Certosa di San Giacomo si celebreranno i 50 anni del museo dedicato all’artista che sbarcò sull’isola con tele, pennelli e la sua comune basata sulla condivisione dei beni e sul culto devozionale alla natura
Apochi passi, da percorrere tutti in discesa, dai tavolini disposti di fronte al Grand Hotel Quisisana, che fu sanatorio, dalla Piazzetta e dalle rutilanti boutique che hanno trasformato le viuzze adiacenti in passerelle del lusso, sotto quell’Hotel Punta Tragara, disegnato da Le Corbusier, che stregò con la sua vista intima dei dirimpettai Faraglioni anche il Generale Dwight D. Eisenhower e Sir Winston Churchill, va ogni giorno in scena una storia che riconcilia Capri con la sua verginea, nuda verità di isola in cui la vera ricchezza è la relazione fisica, spregiudicata, sensuale con l’acqua blu, le rocce, i pesci, la natura.
La testimonianza storicamente più attendibile di come questa perla dell’Arcipelago Campano abbia ispirato e attirato sin dall’antichità personaggi dediti alla contemplazione del creato e al tempo stesso al godimento dei piaceri è quella dell’Imperatore Tiberio, che esercitava da qui il suo potere su Roma: era schivo, agli onori pubblici preferiva i tuffi nel mare di Capri, che elesse a dimora delle sue voglie edonistiche e dove eresse palazzi che ancora resistono alla perversione mondana di oggi.
Meno conosciuta, per quanto Mario Martone quale anno fa si sia ispirato alla vicenda per il suo film Capri Revolution (2018), è l’avventura umana e artistica che ebbe come protagonista Karl Wilhelm Diefenbach, di cui presto si celebrerà il cinquantenario del museo a lui dedicato nella Certosa di San Giacomo e da cui si viene sensitivamente coinvolti proprio in questo luogo sacro edificato per volontà del Conte Giacomo Arcucci nel XIV secolo.
Al turbamento provocato dalla bellezza dei chiostri di cui il pubblico si è riappropriato con voluttà, a un anno dalla riapertura post Covid, - di recente ha ospitato l’evento glambenefico pro Unicef di LuisaViaRoma, retailer online di moda - si aggiunge quello delle tele, immense nelle dimensioni e pulsioni provocate, appunto di K. W. Diefenbach, una trentina, capaci di riportare coi loro colori vividi e intensi, lo Sturm und Drang delle loro scene, alla fine dell’Ottocento e ai primi anni del secolo successivo.
Fu quello, appunto, lo scorcio temporale in cui l’artista, lasciata Vienna dove ad Himmelhof aveva fondato la comune Humanitas (quella che ispirò anche Monte Verità ad Ascona), sbarcò coi suoi pennelli e adepti proprio a Capri.
E qui manifestò da subito una sorta di culto primitivo verso i fenomeni naturalistici ai quali nella tavolozza del cielo e in quella del mare, egli assisteva. I pescatori dell’isola si abituarono presto alla presenza di questo uomo barbuto che girava quasi sempre nudo, non ingeriva alcun essere animale, sia di terra che di acqua, dipingeva sulle rocce e da dentro le barche.
Ammirando le tele esposte in quelle sale della Certosa che vennero spogliate di ogni bene dalla razzia compiuta dalla soldataglia di Gioacchino Murat - poi questo alacre luogo religioso sarebbe stata impiegato come caserma, ospizio e sede di soggiorno forzato per anarchici - si viene trafitti dalla forza dirompente e selvaggia degli squarci strappati all’isola da Diefenbach che riportano al tempo in cui Capri apparteneva ancora e unicamente a se stessa, non ai brand e ai trend luxury.
Ecco, dunque, fare capolino Marina Piccola libera dalle costruzioni affastellatasi sopra la sua spiaggia, l’ascesa al Monte Solaro, la passeggiata sul Pizzolungo raffigurata in tutte le variazioni della vegetazione e soprattutto della luce. E naturalmente vediamo anche i Faraglioni dell’artista nudista che era fuggito qui aborrendo la borghesia, rampante già a inizio ’900, scegliendo di non possedere quasi nulla se non quanto gli occorresse per dipingere, cibandosi di frutta, verdura ed erbe.
Questo spirito di condivisione sia visiva che materiale fu l’humus di Humanitas e permise a Capri di venire conosciuta in tutta Europa come l’isola dove manifestare la propria essenza più pura. Certo, non manca drammaticità nei dipinti esposti alla Certosa di San Giacomo: guardando certe procelle che percuotono il cielo, pare di ritrovarsi in un paesaggio nordico, in cui la forza primitiva del creato scuote ogni cosa, come se K. W. Diefenbach non riuscisse a volte a contenere la sua furia verso quello che stava accadendo nelle capitali del Vecchio Continente, anticipando cosa sarebbe avvenuto qui.
Però, egli dopo le tenebre fa di nuovo comparire il sole dentro l’Arco Naturale come a voler dare una speranza sulla possibilità che in fondo ha sempre l’uomo, se lo vuole, di vivere un contatto primordiale con quell’isola che è ognuno di noi e alla quale aneliamo, anche oggi.
LA DRAMMATICITà DEI DIPINTI ESPOSTI NELLE SALE RIPORTA A UN TEMPO LONTANO DALLE PASSERELLE DEL LUSSO DI OGGI