Il Sole 24 Ore - Domenica

BREVIARIO #STUDIARE

- Di Gianfranco Ravasi

»Studiare e poi mettere in pratica al tempo opportuno ciò che si è imparato: non è questo una sorgente di felicità?

«Da giovane vivevo in umili condizioni e ho appreso molti mestieri». Così confessava nei Pensieri, dialoghi, sentenze, raccolti dai discepoli, il sapiente per eccellenza della cultura cinese, Confucio, vissuto tra il VI e il V secolo a.C. e fatto conoscere in Europa nel 1595 dal famoso gesuita Matteo Ricci, missionari­o in quelle terre. Il Maestro Kong (tale è il significat­o del suo nome) tocca nella nostra citazione un tema rilevante anche ai nostri giorni, lui che forse aveva dovuto conquistar­e a fatica il sapere. La scuola è, infatti, al centro dei dibattiti e della stessa politica, soprattutt­o dopo l’irrompere della pandemia. Essa è fondamenta­le per la vita di tutti, e deve intrecciar­e due componenti, non di rado separate o semplifica­te.

Da un lato, c’è l’«istruzione» che, come dice la radice latina ( in-struere) è un’immissione di conoscenze simili a semi da inserire nel terreno della mente e della coscienza della persona, soprattutt­o se essa è in formazione per la giovane età. D’altro lato, c’è l’«educazione» che, come suggerisce il latino ( educere), è un estrarre dal terreno interiore della persona le sue doti e qualità native. Studiare è frutto dell’intreccio di questi due movimenti, ed è solo così che l’uomo e la donna crescono in pienezza, in sapienza e capacità umane. Purtroppo, però, spesso nel sistema scolastico si verifica quello che confessava Seneca scrivendo all’amico Lucilio:

«Non vitae, sed scholae discimus», impariamo non per la vita ma solo per gli esami.

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