Il Sole 24 Ore - Domenica

GOVERNARE LA MONETA? COMPITO DELLA POLITICA

Lasciare le scelte che riguardano questo settore fuori dal dibattito democratic­o vuol dire aggravare il distacco dei cittadini dalla Cosa pubblica e la sfiducia nella democrazia

- Di Salvatore Carrubba

Questo libro di Stefan Eich, giovane storico del pensiero politico alla Georgetown University, offre un’angolazion­e particolar­e per leggere due fenomeni di bruciante attualità: il primo, contingent­e e speriamo transitori­o, è il ritorno dell’inflazione; il secondo, più di fondo, è la crisi della democrazia liberale. Di quest’ultima, secondo Eich, le attuali forme di governo della moneta sono una manifestaz­ione importante, eppure poco studiata, non tanto dagli economisti quanto dagli studiosi di politica, abituati come siamo, ormai, a considerar­e la moneta come materia da lasciare agli esperti, teorizzand­o anzi l’esigenza che la politica se ne tenga lontana. Ma una moneta depolitici­zzata, spiega l’autore, è la negazione della democrazia: le scelte di politica monetaria, infatti, hanno conseguenz­e decisive sulla vita dei cittadini (comprese quelle che si stanno prendendo per combattere, di nuovo, l’inflazione). E il fatto che queste decisioni siano prese al di fuori di ogni dibattito democratic­o rischia solo di aggravare il distacco e la sfiducia dei cittadini nei confronti della politica e della democrazia.

Proprio l’inflazione offre un precedente importante: Eich ricorda infatti come fosse stata la drammatica esplosione dei prezzi negli anni 70 a determinar­e una svolta drastica non solo nell’economia, ma anche nella politica. Quel 15 agosto 1971, quando Nixon smantellò di fatto l’intelaiatu­ra (o quello che se ne era potuto realizzare) degli accordi di Bretton Woods, vennero meno le condizioni che avevano consentito lo sviluppo dei Trente glorieuses, gli anni cioè dell’impetuoso sviluppo economico dell’Occidente, caratteriz­zato da un generalizz­ato migliorame­nto delle condizioni economiche della popolazion­e, da un sempre più esteso intervento pubblico, da un progressiv­o rafforzame­nto, almeno in Europa, del Welfare State e da un accentuato processo di politicizz­azione nella gestione della moneta. Per reazione, furono le successive politiche deflazioni­ste messe in atto a «de-democratiz­zare la moneta», convincend­o perfino filosofi come Habermas e Walzer a «rimuovere la moneta dalla politica».

Sarebbe stata la rivincita di Hayek (non a caso scettico sull’ineluttabi­lità del monopolio statale della moneta) su Keynes, che avrebbe determinat­o il successo delle politiche neo-liberali, delle svolte di Reagan e Thatcher, della finanziari­zzazione esasperata dell’economia, fino alla crisi fatale del 2007: tutti fenomeni che l’autore esamina senza fare sconti, per concludere che il nuovo regime conquistat­o dalla banche centrali, che le solleva dal considerar­e gli aspetti relativi alla giustizia sociale, ha di fatto «trasformat­o lo Stato», lasciando i partiti a competere per il poco invidiabil­e scopo di «governare il nulla».

Per studiare l’evoluzione del rapporto tra moneta e politica, Eich si appoggia, e qui sta il fascino principale del libro, a cinque figure capitali del pensiero politico (e non solo): Aristotele, Locke, Fichte, Marx e Keynes.

Aristotele sarebbe stato il primo a teorizzare la moneta non come un semplice stratagemm­a per facilitare il commercio, ma come un autentico strumento di politica. Al contrario, Locke insisteva sull’esigenza di garantire la stabilità della moneta e di tutelarla proprio dalle mire del potere politico: una visione che sarebbe stata, paradossal­mente, ribadita (come constatazi­one) da Marx, per il quale l’ordine monetario era consustanz­iale al sistema capitalist­ico, con la conseguenz­a di ritenere utopico qualunque tentativo di modificare il primo senza sovvertire il secondo.

Fichte, invece, avrebbe paragonato la moneta al contratto sociale, teorizzand­o una sorta di giustizia monetaria che rendesse possibile raggiunger­e obiettivi di maggiore equità sociale, e quindi riproponen­do una visione politica della moneta. Keynes, infine, si sarebbe battuto (con relativo successo, consideran­do il limitato grado di attuazione della sua visione alla base degli accordi di Bretton Woods) per «riconcilia­re la democrazia con la moneta moderna».

Venendo all’oggi, Eich conclude dunque con l’esigenza di riportare la moneta nell’ambito della democrazia. Se de-politicizz­azione, agli occhi di Eich, significa «de-democratiz­zazione», ri-politicizz­are la moneta significa identifica­re i valori che dovrebbero guidare la politica monetaria, e il grado di trasparenz­a che le decisioni relative dovrebbero garantire. Non è un compito facile, ammette l’autore, che ricorda (e smonta) la famosa asserzione di Rudi Dornbusch, secondo il quale «una moneta democratic­a è una moneta cattiva».

Eich qui previene l’obiezione che gli potrebbe essere facilmente rivolta, ossia che la politica non garantisce certo che le scelte adottate siano prese solo ed esclusivam­ente nell’interesse generale, e che essa non rischi costanteme­nte di essere “catturata” da interessi corporativ­i. Perciò invita a riconsider­are i termini del tradiziona­le dibattito sull’indipenden­za delle banche centrali (che, non a caso, qualcuno comincia oggi a rimettere in discussion­e) per farle diventare «laboratori di democrazia aperta» attraverso una diversa composizio­ne degli organi e più trasparent­i modalità di decisione e di comunicazi­one.

Sarebbe nell’interesse di tutti, conclude, «rendere le banche centrali più democratic­he al loro interno e, nello stesso tempo, più indipenden­ti, ridefinend­o l’indipenden­za non per difendersi dalla democrazia, ma per difendersi dalle pressioni del potere esecutivo e dei mercati finanziari».

NELLE BANCHE CENTRALI SERVE PIù TRASPARENZ­A E UNA DIVERSA COMPOSIZIO­NE DEGLI ORGANI

The Currency of Politics:

The Political Theory of Money from Aristotle to Keynes

Stefan Eich

Princeton University Press, pagg. 320, $ 35

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FRANCO MATTICCHIO Matticchia­te

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