L’altro Pasolini
L’uccisione del partigiano Guido Pasolini per mano di partigiani comunisti è uno degli episodi più controversi della Resistenza. È il febbraio 1945: alle malghe di Porzûs in Friuli egli cade nell’eccidio della brigata Osoppo. Pregevole precisione documentaria.
Manhattan Transfer (1925) sta a New York come Ulisse (1922) di James Joyce sta a Dublino: un’equazione letteraria che da sempre ha impegnato la critica anglosassone fino al più recente, esaustivo saggio di David Harding, Writing the city: urban visions and literary modernism (Taylor & Francis Ltd, 2011). Manhattan Transfer e Furore (1939) di John Steinbeck sono considerati i capolavori della proletarian literature, una categoria che, nell’ambito della lingua inglese, ha avuto un precursore in Tempi difficili (1854) di Charles Dickens e il cui riverbero in campo cinematografico ha ispirato registi come John Ford, Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Michael Cimino, Ken Loach e Sergio Leone. Dos Passos, il cui cognome e la faccia da straniero aveva ereditato dal padre di origini miste tra Portogallo e l’isola di Madera, si distingue dai suoi colleghi e coetanei Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e e.e. cummings per aver visitato fin dall’adolescenza l’Inghilterra, la Francia, l’Italia e la Grecia, attratto dal loro patrimonio artistico e letterario. Poi, nel 1917, quando l’America si allea con i Paesi in conflitto con l’Impero austro-ungarico, confluiranno tutti a Parigi come volontari del servizio sanitario dell’esercito americano o della Croce Rossa, subito coinvolti nella cerchia di Gertrude Stein e della libreria Shakespeare and Company di Sylvia Beach. Prima di partire per il fronte italiano come autista di ambulanza, Dos Passos si iscrive a un corso di antropologia alla Sorbona disponendo, come credenziale, anche di una laurea conseguita ad Harvard, cum laude. A guerra finita, rientra in patria più pacifista che mai, definendosi politicamente un middle-class liberal. Il successo clamoroso di Manhattan Transfer si può forse riferire a tre punti distinti: 1) il fascino del soggetto New York colto nella sua metamorfosi di metropoli moderna; 2) la novità di uno stile letterario e la ricchezza di un lessico che hanno bensì assimilato la lezione dell’Ulisse e della Terra desolata di T. S. Eliot, usciti solo tre anni prima, ma tenuti a un livello di alta leggibilità; 3) l’affresco di una società in trasformazione in cui i componenti delle più diverse estrazioni, filmati nel giro di un ventennio, appaiono tutti vividi e indispensabili. New York è una città che sale: acciaio, vetro e cemento sono i nuovi materiali, a erigere grattacieli «come piramidi simili a nuvole bianche al di sopra degli uragani». Ed è una città che luccica: anche «le pozzanghere sono piene di cielo» e «dalle insegne luminose sui tetti erompe luce, luce che turbina vertiginosamente per le vie, luce che colora rutilanti tonnellate di cielo». Luccicano l’ottone e il nickel delle maniglie e delle guarnizioni dei sontuosi portoni di Park Avenue e della Quinta, dei poggiapiedi sotto gli sgabelli dei bar, delle sputacchiere e dei corrimani degli scaloni. I mezzi di trasporto aggiungono colore: «il porto rigurgita di bastimenti zebrati, pezzati, striati come puzzole» e i taxi sono gialli, verdi, rossi e arancione. Il gusto descrittivo riservato alla città in evoluzione non è da meno per i personaggi che ad andamento rapsodico incontriamo nel tempo, a volte in situazioni imprevedibili. I tratti fisionomici, il colore degli occhi, il colore dei capelli e l’acconciatura per le donne, attitudini caratteriali, la foggia del vestire: tutto serve a definire l’identità al primo impatto e all’aggiornamento negli incontri successivi. Ne deriva tra l’altro un involontario quanto godibile catalogo della moda e dei suoi accessori dei primi due decenni del Novecento secondo le diverse categorie sociali. In ambito maschile, comune ad ogni categoria è l’assuefazione al bere: ubriacarsi è un compimento dovuto, quasi uno status symbol. Anche il fumo è un’ossessione, ma qui la distinzione di classe conta: tra i sigari cubani riservati all’élite e quelli comuni; e poi c’è chi ne taglia è il raggiungimento del sogno americano, per lo più un lavoro che ti dia il benessere. C’è anche chi predica, come l’anarchico italiano Marco, la liberazione dalla «schiavitù del salario e dalla proprietà», «il socialismo ha fallito. Ora è il tempo dell’anarchia…». O la giovane Anna Cohen, cacciata di casa dalla madre ebrea ortodossa perché fa il «manichino» per una casa di moda e va a ballare con i goyim, che in un joyciano flusso di coscienza vede la Guardia Rossa, a rivoluzione iniziata, risalire la Quinta