I DISEGNI RITROVATI DEI SANGALLO
Manfredo Tafuri ci diceva sempre: «Se vogliamo veramente bene agli uomini del passato, loro vengono verso di noi». E raccontava di un documento su una facciata di chiesa veneziana, dato per disperso nel mercato antiquario, che aveva letteralmente attraversato l’oceano per planare sulla sua scrivania.
Ci ho pensato quando alla New York Public Library mi sono trovato in mano, senza averla cercata, la perduta edizione illustrata da Palladio delle Storie di Polibio, che Algarotti sognava di trovare già nel ’700. Ricordo ancora che chiusi il libro e andai a festeggiare all’Oyster Bar di Grand Central. Mi è tornato alla mente di recente quando ho saputo che nei mesi scorsi la giovane Rebecca Sartore, con un dottorato da poco conseguito all’Università di Udine, ha ritrovato fra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze, un codice di disegni di straordinaria importanza per gli studi sull’architettura del Rinascimento. Sartore stava passando il catalogo dei manoscritti della Nazionale, e già questo la dice lunga sulla sua passione e il fiuto da ricercatrice. Quando le portarono il suntuoso codice Capponi, composto da sei bifogli per un totale di 27 disegni, la prima reazione fu cercarne notizia sulle pubblicazioni scientifiche, che dava per scontate. Progressivamente si rese conto che studi non c’erano, perché il codice era inedito, nonostante fosse, come la lettera scarlatta di Poe, in piena vista: dal 1993 era inserito nel catalogo dei manoscritti della Biblioteca Nazionale.
Studiato a fondo, è ora oggetto di una preziosa mostra dossier allestita nella Biblioteca Nazionale, curata da Sartore insieme ad Arnold Nesselrath, Simona Mammana e David Speranzi. Fino al 30 settembre è così possibile vedere da vicino i grandi fogli in pergamena, su cui disegni tracciati a penna e inchiostro, negli anni 10 e 20 del ’500, compongono una “galleria” ideale dei capolavori della grande architettura antica italiana, con un’incursione in Francia per l’arco trionfale di Orange: il Battistero di Firenze, il Mausoleo di Teodorico e la Porta Aurea a Ravenna, l’Arco di Traiano ad Ancona, l’Arco di Augusto a Fano, la Porta Palatina a Torino e naturalmente Roma, con Pantheon, archi onorari, Colosseo, Settizonio, Basilica Emilia, Fori di Marte Ultore e di Nerva, Sostruzioni del Claudianum, Portico di Ottavia e di Cacabari, Teatro di Marcello, Porta Maggiore e alcune invenzioni.
Il codice Capponi è contestualizzato in mostra da una serie ricchissima di libri e manoscritti, tutti parte del patrimonio della Biblioteca Nazionale, da Filarete a Francesco di Giorgio Martini, da Leon Battista Alberti a Giovanni Antonio Dosio a Giovan Battista Naldini. La mostra è presente anche con grande efficacia e intelligenza sul web, dove è possibile sfogliare le pagine dei manoscritti ( bncf.firenze.sbn.it/attivita/ roma-ritrovata/).
La cura e la competenza messe in campo sono la dimostrazione non solo dei tesori librari conservati, ma anche delle grandi capacità scientifiche nello studiarli, presenti in istituzioni culturali italiane di eccellenza come la Biblioteca Nazionale di Firenze, non sempre sostenute come si dovrebbe.
Il codice Capponi fu redatto a più mani nella bottega di Giuliano e Antonio da Sangallo, vale a dire la più agguerrita bottega di architetti attiva fra ’400 e ’500, per più di 70 anni, fra Firenze e Roma. I due fratelli, e nella generazione successiva il loro nipote Antonio jr, furono resi potenti dal costante favore dei Medici, dapprima Lorenzo il Magnifico e poi suo figlio, papa Leone X, e suo nipote papa Clemente VII. Alcuni disegni del codice sono stati identificati da Sartore come di mano di Antonio il vecchio, ma in generale il fascino del codice Capponi è quello di portarci in una bottega e di mostrarci in concreto come gli architetti si attrezzavano nella grande sfida di ritrovare nei resti della architettura antica l’algoritmo da mettere in campo per costruire architettura contemporanea. Quelli del codice Capponi sono i decenni cruciali in cui Raffaello cerca di convincere Papa Leone X a sostenere una campagna sistematica di rilievo dei monumenti antichi, smettendo di considerarli cave a cielo aperto, codificando al tempo stesso le modalità del disegno di tale mappatura, da effettuare in rigorose proiezioni ortogonali di pianta, prospetto e sezione.
Il codice Capponi è in dialogo con un altro codice di monumenti antichi, opera di Giuliano da Sangallo, il cosiddetto codice Barberini oggi alla Biblioteca Vaticana, da cui differisce per una maggiore asciuttezza di rappresentazione e per il rifiuto di un certo gusto romantico per il “rovinismo”. Proprio al codice Barberini è dedicato un bellissimo libro, pubblicato da pochi mesi da una grande studiosa americana di Rinascimento, Cammy Brothers e intitolato Giuliano da Sangallo and the Ruins of Rome (Princeton University Press, pagg. 320, $ 75). Frutto del lavoro di anni e della grande competenza dell’autrice sul disegno di architettura, il libro della Brothers si integra perfettamente con lo studio sul codice Capponi, dimostrando quanto proteiforme e in divenire fosse il concetto di “Antico” per questi pionieri del Rinascimento e quanto peculiare fosse il loro sguardo, che, per quanto attento e preciso, non era quello degli archeologi, ma quello degli architetti, che nella ricostruzione del passato inseriscono sempre la propria visione di futuro.
Roma ritrovata. Disegni sconosciuti della cerchia dei Sangallo alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Firenze,
Biblioteca Nazionale Centrale Fino al 30 settembre