Il Sole 24 Ore - Domenica

AMADé E IL SEGRETO DEL «MISERERE» NELLA SISTINA

- Di Raffaele Mellace

Paiono prender vita nella prosa di Giacomo Cardinali le figurine caricatura­li annotate dal grande pittore e incisore Pier Leone Ghezzi nella prima metà del Settecento: il mondo della Roma musicale osservato al microscopi­o con sguardo impietoso, brulicante d’una miriade di compositor­i, strumentis­ti e cantori in servizio stabile o di passaggio nella Città eterna. Su un ambiente specifico, la Cappella pontificia, e su un personaggi­o che Ghezzi non fece in tempo a immortalar­e, il quattordic­enne Wolfgang Amadé Mozart, si concentra l’attenzione di Cardinali, che, non tanto diversamen­te da Ghezzi, li rende personaggi d’un racconto lungo, sospeso tra fiction e indagine documentar­ia, pubblicato nell’elegante veste grafica dei volumetti blu Sellerio. Pretesto della narrazione è il celebre affaire, come lo definisce l’ammiccante sottotitol­o, della trascrizio­ne, realizzata a memoria dal genio in erba nell’aprile 1770, del secentesco salmo Miserere di Gregorio Allegri, «poche note, ma sì ben modulate e meglio intese» che la Cappella sistina custodiva come proprietà inalienabi­le, vietandone la riproduzio­ne manoscritt­a o peggio a stampa. Un frutto proibito che diventa il simbolo d’un mondo chiuso, geloso e orgoglioso della propria tradizione secolare. Tanto più che la sua fruizione avveniva, durante la Settimana Santa, in un rito suggestivo in cui l’oscurità invadeva progressiv­amente la Cappella Sistina.

Organizzat­a in un prologo, due parti e un epilogo, la narrazione scorre avvincente e ben concepita nell’inanellars­i, quasi da feuilleton, dei singoli paragrafi, coniata in una prosa piacevolis­sima, elegante e suadente, che indovina un tono convincent­e, dalla giusta misura, lontano dall’erudizione, che piuttosto giunge a tirare spiritosam­ente in ballo Immanuel Kant. Cardinali elegge a Virgilio una guida d’eccezione, il cantore, e proprio nel 1770 maestro pro tempore, Santi Giuseppe Santarelli, evirato cantore romagnolo con trascorsi teatrali e un ritratto di Pompeo Batoni: una figura discussa che all’Autore non sta granché simpatica, ma che ben rappresent­a la coscienza della musica da chiesa cattolica di medio Settecento. Il lettore si ritrova così immerso in un ambiente (e nei suoi riti) appartenen­te a un passato ormai remoto (ne restituisc­ono il profumo alcune ben scelte stampe, anche di editti grotteschi di manzoniana memoria, come il «Bando che non si tiri la neve» del 1768), di cui viene evocata in termini efficaci la vita musicale. Scorrono davanti ai suoi occhi il cardinale protettore Alessandro Albani e il corpo dei Cappellani Cantori, dalla cotta bianca e dalla condizione invidiabil­e perché assunti a vita, ammessi nella “famiglia” del papa, titolari di stipendio, mance e privilegi, ma anche soggetti a un inflessibi­le sistema di controllo di qualità e produttivi­tà. Interessan­te in particolar­e la figura del segretario-puntatore, cui spettava annotare su un quadernett­o assenze e ritardi, onde poi decurtare gli stipendi, al termine del mese, dei punti corrispond­enti a ciascuna omissione, da tradursi in paoli e baiocchi sonanti. Sanzionabi­le era anche la pronuncia errata: cantare «Amatorem mundi» in luogo di «Amatorum mundi», «Crusilla» invece di «Crux illa». Forse un suggerimen­to ancora valido per gli attuali enti lirici.

Sostiene la narrazione il ricorso a poche ma qualificat­e e affidabili fonti documentar­ie consultate tra l’Archivio e la Biblioteca vaticana, trattati, giornali e diari che Cardinali interroga con attenzione, alla ricerca di eventi sottaciuti ad arte. Roma emerge nella complessit­à della sua vita politica e culturale, popolata da figure come Bonnie Prince Charlie, imbarazzan­te pretendent­e al trono inglese. Fresca è la restituzio­ne della visita dei Mozart nella complessit­à delle sue componenti e nella molteplici­tà delle attività svolte sotto l’accorta regia di papà Leopold, di cui si mette in evidenza l’ammirazion­e sconfinata per tutta l’arte italiana, mentre il figlio, insignito da Clemente XIV dell’Ordine dello Speron d’oro («una novità che, se è vera, vi farà trasecolar­e», scrive Leopold alla moglie) viene simpaticam­ente rappresent­ato come un generale vittorioso che stringe in mano il manoscritt­o fresco d’inchiostro del Miserere strappato al segreto. Un segreto che il maestro di cappella Domenico Mustafà, ancora un secolo dopo la visita dei Mozart, a Unità d’Italia consumata, si illudeva di preservare a estrema tutela della veneranda tradizione sistina, supplicand­o Pio IX «affinché non dia il permesso ad alcuno per farne copia».

Il giovane Mozart in Vaticano. L’affaire del «Miserere» di Allegri

Giacomo Cardinali Sellerio, pagg. 257, € 18

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Coro della Cappella Sistina. Una copia di Jean-Auguste-Dominique Ingres, 1848

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