RIFLESSI NEL GRANDE SCHERMO DEFORMATI DAL TEMPO CHE SFUGGE
»Quasi cinquanta anni sono passati da Il demone sotto la pelle (1974), esordio del trentunenne David Cronenberg, e trentasei da La mosca (1986), tra i suoi film più grandi. E ora con Crimes of the future (Canada, Gran Bretagna e Grecia, 2021, 107’) il regista canadese torna a raccontare i suoi incubi e i suoi fantasmi rielaborati in immagini spaesanti. Ma non si tratta solo di un ritorno, di una ripetizione del suo cinema. Saul Tenser (Viggo Mortensen) potrebbe essere lui stesso: lui stesso sull’orlo del tempo, della fine del suo tempo, costretto a immaginare un futuro radicalmente post-umano, cui non parteciperà.
Saul è «un artista del paesaggio interiore». La sua arte consiste nel mettere in scena – in senso stretto, di fronte a un pubblico – le mutazioni che prendono vita nel suo corpo (l’angoscia di queste mutazioni Cronenberg ha raccontato in La mosca, segnato dal tumore del padre). Si tratta di entità autonome che pretendono di imporsi come organi nuovi e che la sua assistente Caprice (Léa Seydoux) va a cercare in lui, nella sua carne, con una macchina chirurgica che lo invade, lo apre e non lo uccide. In questo modo, al suo corpo che si deforma i due danno una forma, una poetica, come Cronenberg con il suo cinema. Quanto al suo pubblico, lo spettacolo consiste nel piacere dello sguardo che penetra i corpi. La chirurgia è il nuovo sesso, si dice nel film. E potremmo commentare: la messa in scena dei corpi, la loro apertura e la loro dissezione sono la pornoarte diffusa nella quotidianità anche commerciale del nostro tempo, alla ricerca di una verità (fatta passare per) interiore.
Accanto a questo tema in Crimes of the future ce ne è uno secondario, relativo a una setta sovversiva di mangiatori di plastica, annuncio di una nuova specie del genere homo, che sostituirà il sapiens. Questa duplicazione non giova al racconto, anche se è funzionale alla sua intuizione di fondo: sull’orlo del suo tempo, Cronenberg soffre e racconta un futuro che lui non vedrà, ma la cui impronta sta da sempre nel suo cinema, talvolta grandissimo, e sempre colmo di angoscia spaesante.