Il Sole 24 Ore - Domenica

MAROSTICA La scacchiera torna in Piazza

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Dal 9 all’11 settembre, dopo una lunga pausa (l’ultima edizione risale al 2018), torna la partita con scacchi viventi di Marostica, in provincia di Vicenza. La gigantesca scacchiera (sedici metri di lato) nella Piazza degli Scacchi davanti al castello tornerà ad animarsi con re, regine, alfieri, cavalli e torri (senza dimenticar­e gli umili quanto fondamenta­li pedoni). Ciascun pezzo del nobil gioco è impersonat­o da un attore, coinvolgen­do nei diversi ruoli oltre seicento persone, vestite con preziosi costumi rinascimen­tali. La prima edizione risale al 1923, ripresa poi nel 1954 dopo una lunga pausa. Il copione di Mirko Voucetich mette in scena la storia di due cavalieri che si sfidano a scacchi per la mano di Lionora, la bella figlia del castellano (ovviamente il ruolo più ambito dalle giovani di Marostica). Inoltre a fine marzo 2023 aprirà il Museo degli scacchi di Marostica, costruito intorno alla straordina­ria collezione di Giovanni Longo. Prenotazio­ni e informazio­ni sul sito marosticas­cacchi.it.

(Claudio Visentin) i luoghi palpitano: per gli indiani la terra è un’anima, in Giappone i kami sono potenze contenute in una roccia, in una cascata, in un albero, per i popoli andini la terra è un corpo vivente le cui vene sono i fiumi e i capelli le piante. Sono lì da sempre e camminarci in mezzo regala attimi di grazia e respiro di infinito perché l’uomo, scrisse John Muir, «è parte della natura intera, né vecchio né giovane, né malato né sano, ma immortale».

Le gambe sono pesanti, il cuore si espande e Le Breton ripercorre tante vicende di uomini e donne persi nei meandri del dubbio e rinati grazie alla capacità di fermarsi, di accettare le difficoltà dei lunghi percorsi: «i camminator­i partono perché hanno perso il loro centro di gravitazio­ne, avanzano al loro ritmo per andare incontro a ciò di cui sentono la mancanza». Quando si ritorna, le cicatrici sono ancora lì ma la vita è piena di luce, come quella dei vasi che i Giapponesi restaurano con l’arte del kintsugi, l’arte del riparare con l’oro. Le crepe ci sono, ma brillano perché il cammino è medicina. Sylvian Tesson, nel suo Sentieri neri, ricorda che aveva subìto una caduta rovinosa ma scrive «sono partito zoppicando, sono tornato dritto. Ho preso le distanze da tutta quella tetraggine che incombeva su di me alla partenza». E, quando il viaggio è finito, è già ora di ripartire. Per altri luoghi, per altri racconti.

La vita a piedi.

Una pratica della felicità

David Le Breton Raffaello Cortina, pagg. 224, € 14

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