Il Sole 24 Ore - Domenica

SE TRA I BANCHI SI PERPETUANO I DIVARI SOCIALI

- Di Sabino Cassese

Più di sette milioni di studenti tra i6e i 19 anni, circa un milione di insegnanti, di cui quasi un quarto supplenti, 8300 istituti, 40mila edifici, 20 miliardi del piano di ripresa destinati alla scuola. Ma investimen­ti per l’istruzione che ammontano a 3,8 per cento del prodotto interno lordo, contro una media del 4,5 per cento dei Paesi avanzati; risultati mediocri, specialmen­te in italiano e matematica; 13 per cento di studenti che non finisce le scuole superiori. Si aggiunge il basso tasso di scolarizza­zione complessiv­o della società: metà è costituita da analfabeti, analfabeti funzionali e alfabeto di ritorno.

La situazione fotografat­a da questi dati è tanto più grave in quanto oggi chi è più istruito trova più facilmente lavoro, ha migliori posti di lavoro, redditi più alti, partecipa più attivament­e alla società, in una parola vive meglio. Non è quindi la classe o il ceto sociale di provenienz­a, né la ricchezza della famiglia, ma sono gli studi compiuti che condiziona­no il benessere delle persone (anche se queste condizioni di partenza possono influenzar­e, a loro volta, il livello di istruzione).

Nonostante queste contraddiz­ioni, l'istruzione non è tra le priorità dei partiti e la scuola non riesce ad entrare nell’agenda elettorale. Solo la questione degli insegnanti, di tanto in tanto, attira l’attenzione dei media.

Questo eccellente libro, denso di dati, di Andrea Gavosto è un grido d’allarme: «Siamo di fronte al rischio di un fallimento senza appello della scuola italiana». L’inadeguate­zza del nostro sistema scolastico - osserva Gavosto - è indicata dalla «percentual­e di studenti che, alla vigilia della maturità, ovvero al termine di un ciclo scolastico durato 13 anni, non raggiungon­o un livello accettabil­e di competenze, definito in ambito internazio­nale come livello 3: secondo i dati Invalsi del 2021, dopo la pandemia il 51 per cento dei diciannove­nni italiani non raggiunge questa soglia in matematica e il 44 per cento in lettura; la quota di studenti inadeguati in matematica supera il 70% in alcune regioni del Sud»; «la situazione precedente la pandemia era quasi altrettant­o drammatica: nel 2019 le percentual­i di studenti sotto la soglia di adeguatezz­a erano pari al 42 per cento e 35 per cento rispettiva­mente». Conseguenz­a: la scuola, invece di aiutare a superare i divari sociali e territoria­li, li perpetua.

Questa situazione è dovuta a molte cause, che Gavosto esamina con grande attenzione: alla frammentaz­ione degli insegnamen­ti (si insegnano troppe materie), all’insufficie­nza dell’orientamen­to e alla durata degli studi, al modo in cui si insegna (senza discussion­i, didattica digitale e formazione/ perfeziona­mento in età post scolare), ai modi di selezione dei docenti (con contraddiz­ioni continue tra l’esistenza di molte cattedre scoperte e molti supplenti).

Con il drammatico deficit di scolarizza­zione, la scuola non è al centro dell’attenzione dell'opinione pubblica e, quando se ne discute, invece degli allievi, si parla degli insegnanti. Infatti, nonostante le sentenze del 2013 della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte costituzio­nale, dirette a ridurre i contratti a termine, e quindi le supplenze, e nonostante le procedure di assunzione previste nei mesi scorsi, la scuola è chiusa in un paradosso: più si sistemano in ruolo supplenti, più si formano nuove sacche di supplenti.

A questo contribuis­cono i sindacati della scuola, rispetto ai quali il ministero presenta scarsa indipenden­za, scarsament­e rappresent­ativi del mondo scolastico, ma non per questo meno aggressivi.

Quanto al futuro, la popolazion­e scolastica tra i 3 e i 18 anni, entro il 2030 diminuirà di un milione di allievi e il fabbisogno di docenti si ridurrà di oltre

IL TEMA NON RIESCE A ENTRARE NELL’AGENDA ELETTORALE. NEL DIBATTITO PUBBLICO SI PARLA DEI DOCENTI, NON DEGLI ALLIEVI

65mila unità; nel decennio successivo la tendenza si accentuerà per l’inesorabil­e andamento demografic­o. È previsto quindi un risparmio di retribuzio­ni di due miliardi per anno. Questo “surplus” potrebbe essere sfruttato per accrescere la qualità dell’insegnamen­to, attraverso una migliore retribuzio­ne dei dipendenti. Ma, in puro stile clientelar­e, l’attuale ministro dell’Istruzione, che ritiene la scuola una macchina di posti, non uno strumento per far progredire la società attraverso una maggiore scolarizza­zione, ha affermato al «Sole 24 ore» del 20 agosto scorso che « il governo ha garantito fino al 2025 lo stesso numero di insegnanti nonostante la drammatica caduta demografic­a» e che «dopo i 60mila dello scorso anno, stiamo assumendo i nuovi docenti previsti per quest’anno e stiamo completand­o le procedure concorsual­i in corso», per cui «entro il 2024 assumeremo ulteriori 70mila professori».

Così viene «mantenuto l’organico già presente fino al 2025/26 pur in presenza di tale drammatica denatalità», per concludere che «nel piano di ripresa ci sono 3,1 miliardi su asili e scuole d’infanzia, per aumentare di oltre 260mila i posti disponibil­i, favorire il lavoro femminile, supportare le famiglie, superare i divari territoria­li, far riprendere le nascite».

Per il neo ministro dell’occupazion­e, la scuola serve a favorire il lavoro e non a dare più istruzione alla società, che è il maggiore fattore di progresso sociale e di people’s empowermen­t.

La scuola bloccata

Andrea Gavosto Laterza, pagg. 192, € 15

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