IL «MAESTRO DEI MAESTRI» A CACCIA DELLA PERFEZIONE
Ne La fidanzata di lillà, una raccolta di lettere all’amata Ljuba, il poeta russo Aleksandr A. Blok scrive: «Il misticismo non è “teoria”, è una sensazione incessante e la constatazione, in se stessi e in tutto ciò che ci circonda, dei legami misteriosi, vivi, indistruttibili di una persona con l’altra e, attraverso questo, con l’Ignoto». Il loro fu un amore troppo puro, sublimato oltre ogni immaginazione; eppure intenso, vero, inspiegabile con le parole a nostra disposizione. Dovremmo aggiungere, riprendendo un termine usato da Blok, degno di un mistico.
Chissà perché ci è venuto in mente questo stralcio aprendo la prima traduzione italiana - a cura di Marco Vannini - della Regola di perfezione del cappuccino Benedetto da Canfield (1562-1611), originario della contea inglese dell’Essex e formatosi in Italia e soprattutto in Francia, dove fu considerato “il maestro dei maestri” (definizione di Henri Bremond).
La sua opera scomparve dalla circolazione, incalzata dalla censura ecclesiastica, già alla fine del ’600, insieme agli scritti accusati (o sospetti) di quietismo o di “perfettismo”. Del resto, chiunque legga il libro ora finalmente tradotto rimane colpito dall’idea che lo domina: considerare unica regola di perfezione l’obbedienza alla volontà di Dio. Non si tratta, tuttavia, di deferenza, disciplina o sottomissione, ma il suo è un invito al completo annichilimento della nostra volontà, da attuarsi in un totale distacco.
Solo a quel punto si avverte che quanto accade è volontà di Dio; anzi, si scopre che Benedetto identifica Dio con la sua stessa volontà, fuggendo le immagini che su di Lui si sono accumulate, cercando una via che è attiva e contemplativa al tempo stesso, inseguendo una sorta di unione con il divino in cui ci si perde.
Vannini, uno dei massimi specialisti di mistica, nella sua introduzione offre un suggerimento a chi si chiede cosa e dove conduca un percorso come quello ricordato: «Nella sua pura luce, l’anima guarda a tutte le cose del mondo senza invidia, senza rancore, con amore/distacco, e le riporta dalla loro fragilità, dalla loro accidentalità, nella luce dell’essere eterno».
Qui il discorso si carica di mille rimandi e d’improvvisi lampi, anche perché Benedetto cercava qualcosa che le antiche scuole filosofiche avevano ghermito e persino sperimentato. Non a caso, ricorda Vannini, Simone Weil scrisse che «san Francesco d’Assisi è uno stoico puro» e che un mistico - Benedetto nella sua Regola, ma anche Meister Eckhart o Giovanni della Croce - non parla «se non accidentalmente, di Chiesa, sacramenti, riti». È il caso di aggiungere: tace financo d’illusioni e liturgie con cui cerchiamo di vivere.
Regola di perfezione
Benedetto da Canfield Traduzione di Marco Vannini Edizioni Biblioteca Francescana, pagg. 308, € 38