LE PAGINE NARRANO FATTI INDICIBILI
Lo scrittore affronta autori come Handke, Weiss, Nossack, Hildesheimer, Grass, Améry (ma anche Kafka, Nabokov, Chatwin) avendo come riferimento le catastrofi del Novecento: guerra e olocausto
Nel 2003, due anni dopo l’incidente stradale che costò la vita a W.G. Sebald, l’editore Hanser di Monaco licenziò una miscellanea a partire dal lascito dello scrittore: quattro prose ambientate in Corsica, che facevano parte di un progetto abortito, e una serie di saggi pubblicati su giornali e riviste e in àmbito accademico. Tale miscellanea, intitolata Campo Santo, è il libro che Adelphi pubblica adesso con il titolo Tessiture di sogno. Alcune sezioni (le quattro prose còrse e tre testi in più) sono già apparse in altri volumi di Adelphi ( Le Alpi nel mare e Moments musicaux). Le restanti sono una novità per i lettori italiani.
Si tratta di pagine critiche scritte lungo decenni. Sebald affronta l’opera di scrittori come Handke, Weiss, Nossack, Hildesheimer, Grass, Améry e poi Kafka, Nabokov, Chatwin, avendo come riferimento tematico le due catastrofi innominabili del Novecento, l’olocausto e il bombardamento delle città tedesche. Il collegamento con il Sebald romanziere è dunque palese, ma soprattutto l’opera del saggista procede secondo un modello di indagine storica la cui struttura è analoga a quella delle opere narrative. E, proprio come accade con i personaggi dei suoi romanzi, qui Sebald riconosce nelle figure indagate altrettanti alter ego.
Il Sebald saggista agisce come il Sebald prosatore: aderisce con maniacale acribia all’oggetto, soprattutto all’infinitamente grande (il destino e l’interrogazione etica immanenti alla Storia) e all’infinitamente piccolo nel quale è il segreto dell’infinitamente grande: gli «eventi minuti e imponderabili» che della Storia cambiano il corso. Il suo metodo consiste nel «paziente lavoro di cesello» e nel «collegamento, nello stile della natura morta, di cose in apparenza molto distanti fra loro». Nel Musée Fesch di Ajaccio, Sebald si aggira tra ricordi e cimeli napoleonici, affascinato da una serie di statuine dell’imperatore, in steatite o avorio: le miniature «vanno via via rimpicciolendo, finché non si vede più nulla, se non una macchiolina bianca e vaga, forse il punto di fuga dove svanisce la storia dell’umanità». Solo i residui, le interrogazioni ammutolite, le falle nello spazio e le anse del tempo, le cose obliate o avvolte nel lutto, possono forse liberare un senso: e il lavoro di politura da parte di Sebald riacquista alle superfici una lucentezza tale che l’io dello scrittore ne viene rispecchiato. Il ritrovamento identitario, che coincide con un paradigma estetico, nasce dalla forma che i detriti conquistano grazie alla scrittura, così come i frammenti dell’esplosione di un satellite, scorie dell’entropia, trovano l’evidenza di una significazione negli anelli perfetti, da quei frammenti composti, di Saturno.
È questo il compito della letteratura? Sebald pone esplicitamente la domanda («À quoi bon la littérature?»). La risposta può essere soltanto pratica. È l’esercizio diuturno della memoria, il piegarsi su carte ingiallite e irrelate, il consultare antichi erbarii, lo scrutare i pianeti, il levigare lenti, il lavorare di bulino su una matrice dimenticata, la cupidigia feticistica, la «trasformazione dei frammenti recuperati in promemoria carichi di mistero che ci ricordano ciò da cui noi, in quanto viventi, siamo esclusi». Come per Goethe una sola zolla di terra conteneva la totalità delle leggi naturali che governano il cosmo, così per Sebald una cartolina smarrita, la fotografia di un volto ignoto, il sestante rinvenuto sul relitto di un nau
L’OPERA DEL SAGGISTA SEGUE I MODELLI DELL’INDAGINE STORICA, MA CON UNA STRUTTURA ANALOGA AI TESTI NARRATIVI
fragio contengono la totalità inesplicabile, la dislessia e il cordoglio del mondo: suo è il tentativo, e qui cita Peter Weiss, «di restare sempre in equilibrio tra i vivi, con tutti i morti che ci portiamo dentro». «À quoi bon la littérature? Forse soltanto per questo, affinché ci ricordiamo e impariamo a capire che esistono strani nessi, insondabili per qualsiasi logica di causa ed effetto». Con tali arnesi opera lo scrittore: regolo, compasso, bilancia, clessidra, talvolta quadrato magico. Sono gli strumenti che circondano l’angelo nell’incisione di Dürer, Melencolia I, e non è altro che melancolia la grande ala nera distesa sopra le pagine di Sebald.
In realtà non esiste una risposta, e non esiste un equilibrio che non sia ad ogni istante revocabile.
Resta l’accanimento quia absurdum sulle tracce di qualcosa che è stato, che il diluvio non abbia sommerso, che sia resistito casualmente alla combustione del tutto: luoghi privati del nome, nomi privati del luogo; registri da integrare; «i paesaggi del tempo già sprofondati dietro l’orizzonte». Nel saggio su Peter Handke si cita in esergo Michel Foucault: «Bisognerebbe dunque tendere l’orecchio, chinarsi verso quel borbottio del mondo», ma è impresa vana, «soprattutto perché quei dolori e quelle parole non esistono se non nel gesto della separazione».
Tessiture di sogno, pur composto in parte di pagine non nuove, è un’acquisizione fondamentale nel catalogo italiano di Sebald e si avvale dell’elegantissima traduzione di
Ada Vigliani. Peccato per «una celebre soprano» a pagina 194, ma solo i libri senza carattere non contengono imperfezioni. Adesso diventa inderogabile presentare in italiano l’ultimo Sebald, quello delle poesie puntiformi, folgoranti, vicine all’haiku per foggia e alla lama per la luce del taglio, raccolte sotto il titolo Unerzählt nel 2003 e accompagnate dalle tavole dell’amico Jan Peter Tripp. Se mai Sebald ci abbia consegnato un testamento, è in quelle rade liriche che bisogna cercarlo.
Tessiture di sogno
W.G. Sebald
Traduzione di Ada Vigliani Adelphi, pagg. 243, € 19