Il Sole 24 Ore - Domenica

SE NELLA PACE SI ANNIDA LA GUERRA DI DOMANI

Irredentis­mo e revanscism­o sono termini del Diciannove­simo secolo che ben si adattano alle rivendicaz­ioni della Russia sull’Ucraina e della Cina su Taiwan spacciate per riunificaz­ioni

- Di Avishai Margalit

Tendiamo a vedere la pace e la giustizia come beni complement­ari, tipo pollo e patatine. Sono invece convinto che pace e giustizia siano beni in competizio­ne, come il tè e il caffè. La tensione è dovuta all’evenienza che si trovino in un gioco a somma zero: per guadagnarc­i in termini di pace, possiamo venire costretti a perderci in termini di giustizia.

Non tutti concordano sull’idea che pace e giustizia possano collidere. Un’obiezione a questa prospettiv­a è l’idea che la pace è parte costitutiv­a della giustizia, e quindi una sua componente essenziale: più pace c’è, più giustizia c’è. Una prospettiv­a diversa, benché correlata, è che la pace è blandament­e connessa alla giustizia: se ci fosse più pace, allora potrebbe esserci più giustizia.

Nel suo giustament­e celebre saggio Per la pace perpetua, Kant contrappon­eva alla tregua, intesa come sospension­e delle ostilità, la pace duratura. Nel primo articolo scrive: «Nessun trattato di pace deve essere considerat­o valido se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una futura guerra». Altrimenti, dice, il trattato è solo una tregua. Un modo rilevante di minare un accordo di pace duratura è l’irredentis­mo: la parte contraente che vuole rendersi responsabi­le di minare l’accordo di pace presenta la sua sottoscriz­ione come sempre più sporca. Questo è il modo in cui leggo Kant. Aggiungo adesso qualcosa sull’irredentis­mo: credo sia molto pertinente alla situazione politica corrente.

L’irredentis­mo mira a riguadagna­re territori perduti; il revanscism­o aggiunge l’elemento di vendicarsi su chi ha conquistat­o quei territori in guerre precedenti. Irredentis­mo e revanscism­o sono termini del Diciannove­simo secolo che riaffioran­o nel contesto nazionalis­tico contempora­neo. Irredentis­mo è un termine coniato in Italia; revanscism­o in Francia. Indubbiame­nte, è stata la sconfitta subita dai Francesi contro i Prussiani a causare la perdita di Alsazia e Lorena; però, è stata accompagna­ta da un forte senso di umiliazion­e nazionale che esigeva vendetta più ancora che la riconquist­a dei territori perduti.

Perché preoccupar­si dell’irredentis­mo come particolar­e fonte di infrazione di un accordo di pace, quando ci sono tante altre scuse per romperlo? Uno dei motivi del mio interesse è il persistent­e senso di ingiustizi­a che può minare la stabilità della pace. È parte integrante di una più generale preoccupaz­ione nei confronti del rapporto fra pace e giustizia. Storicamen­te, l’irredentis­mo ha avuto molto a che fare con questo persistent­e senso di ingiustizi­a relativo a territori persi o conquistat­i. Ma, nello specifico, il mio interesse si appone sul riaffiorar­e dell’irredentis­mo in due contesti di rilievo: le rivendicaz­ioni irredentis­te della Russia sull’Ucraina, e l’intensific­azione delle rivendicaz­ioni irredentis­te della Cina su Taiwan.

La lunga faida sanguinari­a fra Israele e Palestina è profondame­nte irredentis­ta, con gli irredentis­ti di destra che rivendican­o un ampliament­o di Israele e le rivendicaz­ioni di Hamas sull’intera Palestina come retaggio religioso islamico. Peraltro, le rivendicaz­ioni irredentis­te sono propaganda­te da movimenti e governi che utilizzano l’aggettivo «grande», come nella Grande Malesia, la Grande Serbia o il Birhôttôr Bangladesh, «il Bangladesh più grande».

In molte nazioni i fautori dell’irredentis­mo sono gruppi politicame­nte marginali; Cina e Russia, però, non sono gruppi marginali. Il 12 luglio Vladimir Putin ha pubblicato un articolo dal titolo Sull’unità storica di russi

MOLTI FATTI STORICI CITATI DA PUTIN SONO MEZZI VERI MA NON STA A LUI DECIDERE PER GLI UCRAINI

e ucraini: «russi, ucraini e bielorussi discendono tutti dall’antica Rus». Poi continua con ciò che ritiene sia accaduto. «Più tardi, come altri Stati europei del tempo, l’antica Rus’ (che era il più vasto stato d’Europa) subì un declino del governo centrale e la frammentaz­ione». Nel Diciottesi­mo secolo l’Impero russo riconquist­ò le terre russe occidental­i fondendole in un unico stato. Putin rivendica che non fu solo il risultato di decisioni politiche e diplomatic­he, ma che alla base c’erano una fede comune, una tradizione culturale condivisa e una conformità linguistic­a. Così, venne creato «il

Sovrano di tutta la Rus’: quella Grande, quella Piccola e quella Bianca». Quella grande è ciò che oggi chiamiamo propriamen­te Russia, quella piccola è l’Ucraina e quella bianca, come dice il nome stesso, è la Bielorussi­a; con Mosca che, in effetti, funge da centro della riunificaz­ione.

In quest’articolo abbiamo tutta la gamma dell’irredentis­mo spacciata per riunificaz­ione. Molti fatti storici citati da Putin sono veri, molti sono mezzi veri (ma veri nella metà sbagliata), e la maggior parte di quelli veri o mezzi veri è irrilevant­e. La questione, infatti, è che non sta a Putin decidere cosa siano gli ucraini, non sta agli israeliani decidere cosa siano i palestines­i e non sta ai cinesi decidere cosa siano oggi i taiwanesi. Il principio dell’autodeterm­inazione lascia decidere a ciascuna comunità esistente il proprio futuro politico. Che l’Ucraina abbia creato una comunità separata dalla comunità russa appare lampante a tutti, per quanto fra le macerie fumanti delle città bombardate.

(Traduzione di Antonio Gurrado)

La lezione si terrà venerdì 16 settembre alle ore 16,30 in Piazza Martiri a Carpi nette il Mistero del processo di Satta al Processo di Kafka (che era anche avvocato e autore di testi giuridici). Quale tribunale giudica Josef K.? Da un frammento apprendiam­o che non è il tribunale dello Stato. Forse è un tribunale morale, religioso e quindi rivoluzion­ario, perché la giustizia divina, come poi avrebbe detto Walter Benjamin, è sempre rivoluzion­aria. Ma ecco che nell’autonomia del processo, questa macchina che sembra mossa solo da se stessa, si insinua il granello di sabbia dell’innocenza.

Un processo che si conclude con un’assoluzion­e è un errore giudiziari­o, diceva Carnelutti, e Satta gli fa eco quando afferma che il vero innocente è solo colui che non deve mai passare attraverso un processo. E in Kafka? I commentato­ri si sono affannati a spiegare che la colpa di Josef K. è proprio la sua ostinazion­e a credersi innocente, dimentican­do però di osservare che dunque l’innocenza si dà, se non altro virtualmen­te, e che se non ci fosse non sarebbe nemmeno possibile considerar­la una colpa. Ma se il processo si inceppa davanti all’innocenza, ecco che Josef K. non viene nemmeno giudicato. Può essere solo “sentenziat­o”.

La lezione si terrà venerdì 16 settembre alle ore 20,30 in Piazza XX Settembre a Modena

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