Il Sole 24 Ore - Domenica

LA FORZA E I LIMITI DEL RICONOSCIM­ENTO

Oggi non è più solo un concetto filosofico ma un’arma per le rivendicaz­ioni giuridiche e uno slogan per manifestar­e nelle piazze. È però una lotta che sottende un modello egemonico

- Di Barbara Carnevali

Il concetto di riconoscim­ento si è imposto tra le teorie della giustizia da circa trent’anni. Come data simbolica possiamo indicare il 1992: l’anno in cui viene pubblicato il libro intitolato Kampf um Anerkennun­g, Lotta per il riconoscim­ento, del filosofo tedesco Axel Honneth, che nel 2001 sarebbe diventato il direttore dell’Istituto di Ricerche Sociali, la “casa” della Scuola di Francofort­e.

Il termine Anerkennun­g è entrato nel vocabolari­o filosofico grazie agli idealisti tedeschi: Fichte e soprattutt­o Hegel, che a loro a volta hanno attinto al patrimonio di analisi psicologic­o-politiche della filosofia classica e moderna, in particolar­e da Hobbes e da Rousseau. Dalla metà degli anni Novanta del Novecento, tuttavia, questo concetto tecnico e di non facile comprensio­ne si è trasformat­o in parola d’ordine della critica sociale, in cui si incontrano teoria e prassi, cultura accademica e militantis­mo politico. Oggi il riconoscim­ento non è solo un tema per filosofi e scienziati sociali: è un’arma per le rivendicaz­ioni giuridiche e uno slogan per manifestar­e nelle piazze.

La formula «lotta per il riconoscim­ento» enfatizza la dimensione conflittua­le del problema. Lotte per il riconoscim­ento sono quelle intraprese dai nuovi movimenti sociali che esprimono le rivendicaz­ioni dei gruppi subalterni o minoritari: minoranze etniche o religiose, militanti antirazzis­ti e femministe, gay, lesbiche e trans, disabili o vittime di altre forme di discrimina­zione. Tutte queste categorie di persone chiedono di “essere riconosciu­te”. E in questa richiesta è contenuta una domanda di giustizia.

Un discorso di senso comune vuole che la specificit­à delle lotte per il riconoscim­ento consista nel sostituire una concezione distributi­va della giustizia con una concezione affermativ­o-identitari­a. I nuovi movimenti sociali non chiederebb­ero più, come i tradiziona­li movimenti dei lavoratori, un’equa distribuzi­one di beni materiali ma la valorizzaz­ione delle identità: l’essere nero, donna, lesbica, membro di una cultura colonizzat­a o in via di estinzione. Questi attributi identitari verrebbero considerat­i immutabili e non condivisib­ili da chi non appartiene alla categoria interessat­a. Da cui l’idea diffusa secondo cui la politica del riconoscim­ento porterebbe alla proliferaz­ione e all’ipostatizz­azione delle differenze.

Per quanto imprecisa, questa caratteriz­zazione consente di vedere come il paradigma del riconoscim­ento, pur restando fedele alla centralità della lotta come strumento di emancipazi­one politica, sposti la questione della giustizia su due piani originali. In primo luogo, è necessario correggere il discorso universali­sta novecentes­co rendendolo più inclusivo: l’idea di giustizia non deve più essere modellata sulla base di un modello egemonico di umanità contrabban­dato come universale – il soggetto bianco occidental­e borghese eterosessu­ale nel pieno possesso di tutte le sue abilità –, ma deve rispondere alle esigenze di integrazio­ne e partecipaz­ione di un’umanità globalizza­ta e multicultu­rale. In secondo luogo, serve una nuova sensibilit­à alle questioni di giustizia che potremmo definire simboliche: quelle che passano attraverso segni, parole, risorse e competenze culturali.

Sono proprio queste due nuove rivendicaz­ioni della politica del riconoscim­ento, l’inclusione delle differenze e l’attenzione al simbolico, ad aver attirato le maggiori critiche. Secondo i detrattori, si tradirebbe­ro due principi di base della politica moderna, che avrebbe fondato la sua idea di giustizia su rivendicaz­ioni di uguaglianz­a universali e sostanzial­i. Le lotte per il riconoscim­ento sarebbero sintomo di una società particolar­istica, disgregata e frivola, ormai incapace di unirsi all’insegna di battaglie comuni e attenta più all’apparenza che alla sostanza, la famigerata correttezz­a politica.

All’interno di questo panorama, necessario per inquadrare il problema ma i mpossibile da affrontare esaustivam­ente, il mio approccio si concentra sul nesso tra bisogno di riconoscim­ento e beni simbolici. Bisogna smontare il pregiudizi­o per cui esisterebb­ero bisogni primari, economico-materiali, e bisogni spirituali secondari, come la stima, il rispetto, il prestigio, che non rappresent­erebbero una priorità politica. I beni simbolici sono risorse fondamenta­li per condurre un’esistenza sociale degna e appagante, e per sentirsi a pieno titolo membri di una comunità. E in quanto tali devono essere rivendicat­i da coloro che si sentono ingiustame­nte misconosci­uti e distribuit­i equamente da parte delle istituzion­i: lo stato ma anche la scuola, l’università, tutti i luoghi della trasmissio­ne culturale e della riproduzio­ne dell’ordine simbolico. La lotta per il riconoscim­ento delle donne, ad esempio, comprende tanto le rivendicaz­ioni salariali quanto la ridiscussi­one dei canoni scolastici e il diritto di trasmetter­e il proprio cognome ai figli. Se si pensa in termini di «capitale» simbolico si può mostrare come una politica del riconoscim­ento correttame­nte intesa non comporti né l’oblio dell’uguaglianz­a, né una concezione idealistic­a o esclusivam­ente morale della giustizia, ma miri ad appagare i bisogni essenziali dell’essere umano in quanto essere sociale e membro di una comunità politica.

Questo approccio permette anche di svelare i lati oscuri della questione, mostrando come il nesso tra bisogno di riconoscim­ento e beni simbolici svolga un ruolo cruciale nei meccanismi di dominio in cui siamo inconsapev­olmente immersi. Chi chiede riconoscim­ento entra in una relazione di dipendenza nei confronti di chi lo riconosce. Perché la politica del riconoscim­ento si traduca in una forma di giustizia è necessario prendere atto di queste ambivalenz­e e distinguer­e il riconoscim­ento come emancipazi­one dal riconoscim­ento come ideologia.

SERVE UNA NUOVA SENSIBILIT­à SULLE QUESTIONI PIù SIMBOLICHE CHE PASSANO ATTRAVERSO SEGNI E PAROLE

La lezione si terrà domenica 18 settembre alle ore 18 in Piazza Grande a Modena

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