Il Sole 24 Ore - Domenica

#IL SIGILLO

- Di Gianfranco Ravasi

BREVIARIO

»L’amore ti coglie alla sprovvista, entra in scena come l’ufficiale giudiziari­o che si era presentato a un contadino del nostro villaggio. Una volta entrato in scena, l’amore appiccica un sigillo su ogni aspetto della tua proprietà e dice: «Ora non è più tuo».

La comparazio­ne è un po’ forte ma rende l’idea. Alla casa di un contadino, forse moroso, si presenta l’ufficiale giudiziari­o e impone i sigilli alle porte e quindi all’intero edificio. La scrittrice tedesca Mariana Leky, nel suo romanzo piuttosto vivace e scanzonato Quel che si vede da qui (2017), applica l’immagine all’ingresso dell’amore nella vita di una persona: se è autentico e profondo, invade l’altro e in un certo senso lo conquista, lo espropria del suo io. Il simbolo del sigillo è usato anche dal Cantico dei cantici: è la donna a suggellare con la sua presenza la vita dell’amato (8,6).

Il senso, però, nel poema biblico è più raffinato. Infatti, in pratica il sigillo era la carta d’identità di una persona. Accade, allora, che, quando si è innamorati, si acquista anche il profilo dell’altro, si trasfondon­o pensieri e sentimenti, con tutte le cose care in un possesso reciproco. Non per nulla, sempre nel Cantico, la donna per due volte pronuncia la sua profession­e d’amore che suona così: «Il mio amato è mio e io sono sua… Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (2,17; 6,3). Quando, invece, due innamorati cominciano a calcolare quanto hanno dato all’altro e a quantifica­rne il costo, è segno che stanno per lasciarsi.

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