LE STANZE E IL FORTEPIANO DI WAGNER VENEZIANO
Visita all’appartamento di Ca’ Vendramin Calergi sul Canal Grande che il compositore prese in affitto nel 1882 con l’intenzione di soggiornarvi per anni. Ma qui la morte lo colse il 13 febbraio 1883
Uso. colpisce che siano approdate in quepire il compositore:
Ca’ Vendramin Calergi.
Il palazzo sul Canal Grande
(oggi sede del Casinò) dove si trova l’appartamento di Richard Wagner. Qui sopra, la sala con il fortepiano appartenuto al compositore
Amici della Fenice. A presiederla è ora Alessandra Althoff Pugliese, che insieme ai consiglieri lancia il nuovo traguardo per il Museo, nel frattempo tenacemente riconquistato a sei stanze: entrare nella rete MUVE, far parte dei Musei Civici di Venezia. Garantendosi solidità, nuove acquisizioni e visibilità. Perché sono in pochissimi, persino tra i veneziani o wagneriani più devoti, ad aver visitato questo rifugio toccante.
Wagner muore qui, il 13 febbraio 1883. Domani saranno 140 anni. Il lutto è universale (persino Verdi). L’ala della cinquecentesca dimora, che era stata presa in subaffitto dal nipote della proprietaria - lui Conte di Bardi, fiorentino, lei duchessa di Berry - viene svuotata, oggetti e arredi imballati e spediti a Bayreuth. Quando anche il Conte esce di scena, nel 1906, la collezione di arte orientale finisce in parte all’asta, in parte acquisita dal Comune. Nel deserto rimane solo qualcosa accatastato negli angoli, nascosto sotto vecchi tappeti, come il fortepiano. Dagli anni Cinquanta a Ca’ Vendramin ha sede il Casinò di Venezia. Nelle stanze wagneriane vuote si ventila la minaccia di collocare le nuove slot machine. Gli anni passano, nel 1995 il sindaco Cacciari affida all’Associazione wagneriana la Sterbezimmer, la camera dell’attacco di cuore. Qui dove era stato trasportato dalla moglie e dalla cameriera sul sofà di broccatello, coperto da una pelliccia d’orso. L’orologio gli cade a terra, «Meine Uhr», le ultime parole. Oggi è uno dei cimeli veneziani al museo sempre aperto di Villa Wahnfried, insieme al gigantesco letto che troneggiava nel locale accanto, «foderato con un pesante raso color tè ghiacciato», come meticolosa lo descrive Henry Perl in Wagner in Venedig, 1883. Henry, che era poi Henriette, grazie a fonti di primissima mano raccontò tutto di quegli interni, registrando persino il numero dei cuscini (sei, medesimo colore del copriletto) enorme ottomana, «secondo la moda orientale». Dal lettone Cosima non si sarebbe più separata.
Wagner arrivava in gondola a Ca’ Vendramin. Il fido “Ganassetta”, gondoliere factotum, lo lasciava alla porta d’acqua sul Canal Grande: «In questo palagio l’ultimo spiro di Riccardo Wagner odono le anime perpetuarsi come la marea che lambe i marmi», incide nella lapide bianca lì accanto D’Annunzio. Più che marmi oggi ha intorno mattoni screpolati, le stesse poetiche crepe che consumano il muro attorno all’altra targa, all’ingresso di terra, su Calle Larga Vendramin: «A Riccardo Wagner morto fa queste mura...». Una vetrinetta accanto al portale bugnato ci informa di un nuovo ristorante all’interno, chef Alessandro Borghese. La corte ha una vera da pozzo. Silenzio assoluto. Tranne una guardia, nessuno.
All’ingresso fastoso del Casinò, tra scaloni e armigeri, si apre una della porta discreta, poco appariscente: Museo Wagner (italiano, inglese e giapponese) indica la freccia sulla breve rampa di scale. La segnaletica anti-incendio fotografa eloquente la larga distribuzione degli spazi: era un Ring, un anello, il disegno dell’appartamento finale scelto da Wagner. Forma del pensiero musicale ritrovata nelle architetture veneziane: «Qui voglio morire», pare avesse detto al primo incontro.
Oggi le sei stanze si attraversano come un pellegrinaggio. Grazie ai fondi Pugliese, Lienhart e Just rappresentano la più grande collezione dedicata a Wagner al di fuori di Bayreuth (senza il peso nazista di Bayreuth) e Tribschen. Immagini storiche, come la Nibelungenorchester 1876, con i ritratti di tutti gli orchestrali, o il sofà simile all’originale, donato dall’Hotel Danieli, si alternano a teche con prime edizioni, manoscritti. La locandina della prima Tetralogia in Italia, alla Fenice, aprile 1883, che avrebbe incoronato Venezia città wagneriana. In una stanza il Bechstein, nell’altra accanto il fortepiano, e sembra ancora di sentirli, Liszt e Wagner, mentre ruggiscono fronteggiandosi alle tastiere. Sullo scrittoio della Sterbezimmer una copia delle ultime parole, manoscritte, fitte fitte, sul tema dell’eterno femminino. Come un appunto, rifugiate in un angolo in alto a sinistra le ultime. La pagina sotto bianca.
QUESTA CASA, RICCA DI CIMELI DEL MAESTRO, SI APPRESTA A ENTRARE NEL «MUVE», LA RETE DEI MUSEI CIVICI DELLA CITTà