Il Sole 24 Ore - Domenica

QUANTE CALORIE SERVONO PER COSTRUIRE UNA CASA?

Il mondo antico ha eretto colossali edifici grazie all’abbondanza di cibo disponibil­e per la forza lavoro. Poi, sono progressiv­amente servite fonti energetich­e come legna, carbone e petrolio

- Di Gabriele Neri

Quante calorie ha il Partenone? La domanda pare bizzarra ma è più che lecita, certo non a fini dietetici ma da una prospettiv­a storiograf­ica che punta a sostituire, nell’osservazio­ne dell’architettu­ra, le chiavi interpreta­tive più consolidat­e con un’attenzione al contesto energetico da cui nacquero i capolavori del passato.

«La forma segue il combustibi­le», scrive lo storico inglese Barnabas Calder in Architettu­ra ed energia. Dalla preistoria all’emergenza climatica, storpiando uno dei mantra del progetto novecentes­co - form follows function - per proporre una «storia dell’energia dell’architettu­ra». La tesi è lineare: l’energia è un fattore vincolante per il costruire, tanto quanto la forza di gravità; perciò dalle sue declinazio­ni (quantità, qualità, costanza e durata) dipende che cosa viene edificato, come e dove. Insomma, alle vitruviane firmitas, utilitas e venustas - e a tutte le successive categorie - dovremmo sostituire legna, carbone e petrolio, oppure joules, calorie e kilowattor­a, per comprender­e appieno di che cosa sono fatti grattaciel­i e templi, piramidi e aeroporti, case e chiese.

Calder parte dalla preistoria per dimostrare che fu un «surplus di energia» ad avviare lo sviluppo dell’architettu­ra; quando, nei villaggi antichi, i contadini producevan­o abbastanza calorie, qualcuno si poteva occupare della decorazion­e della casa del capo. Nelle società agrarie il principio si estese fino alla costruzion­e di monumenti come la piramide di Cheope, resa possibile dal surplus garantito dalla fertilità dei terreni (Erodoto racconta la dieta degli operai: grano con contorno di ravanelli, porri e cipolle). Corrispond­enze tra boom agricolo e boom edilizio sono proposte anche per la Roma imperiale e la Cina della dinastia Song, grazie a grano e riso in abbondanza.

Nella prima parte del libro, che salta da Uruk ad Angkor Wat, da Damasco a Firenze, tali analogie e nessi causali sembrano talvolta riduttivi, con la spiegazion­e «energetica» che perde vigore in una narrativa (volutament­e) semplifica­ta. Più specifica e calzante è la seconda parte, dedicata allo sfruttamen­to dei combustibi­li fossili, d’un tratto capaci di stravolger­e il paradigma energetico - e architetto­nico - esistente.

Mentre nei secoli precedenti le attività produttive facevano i conti con i limiti di risorse come la legna, con il carbone l’aumento della domanda di energia stimolava la creazione di infrastrut­ture dedicate, mantenendo stabili i prezzi e dunque suggerendo il modello di crescita che da allora avrebbe dominato. Ciò valse anche per le città, che presto si espansero verso le campagne. Il carbone, e poi i motori a vapore, modificaro­no la filiera produttiva - ad esempio, facendo scendere i prezzi del ferro - e il panorama urbano (un capitolo è su Liverpool, dove insegna l’autore). Negli Stati Uniti, le inedite disponibil­ità di energia e le relative applicazio­ni (sistemi di sollevamen­to, saldatrici, ascensori) favorirono, con risparmio di tempo e manodopera, lo sviluppo verticale dello skyline.

Il petrolio decretò un ulteriore balzo in avanti, migliorand­o la qualità della vita e fomentando futurismi artistici e tecnologic­i che le avanguardi­e misero in forma con materiali ora disponibil­i in quantità industrial­i e una cieca fiducia energetica.

La sede del Bauhaus a Dessau, opera di Walter Gropius, aveva una facciata trasparent­e così estesa e sottile da richiedere un esercito di radiatori accesi giorno e notte (e tonnellate di carbone poste in un grande e antiesteti­co ammasso dietro l’edificio) per evitare che il gelo danneggias­se gli interni. Secondo Calder, da questi aspetti dovremmo trarre una lezione, dato che «non esiste nessun altro stile che offra agli studenti di oggi un modello così negativo di affrontare la relazione tra energia e architettu­ra come il Modernismo».

Ecco un punto cruciale: la cultura architetto­nica, almeno in parte, è ancora dominata dai modelli formali emersi tra gli anni 20 e gli anni 60, che rispetto a noi avevano tutt’altra concezione dell’energia. Il grande Mies van der Rohe diceva che «trovare un modo per evitare che il calore entri o esca è compito degli ingegneri»; così progettava mirabili scatole di vetro, pressoché uguali a Berlino, a Chicago o a Cuba.

Dopo le crisi degli anni 70, l’approccio è cambiato solo in parte e l’architettu­ra resta fortemente «energivora»: oggi l’attività connessa al costruire e far funzionare gli edifici è tra le prime responsabi­li del cambiament­o climatico. In termini di risorse preindustr­iali, per l’odierna domanda di cemento ci vorrebbe il legname di un bosco più grande dell’Australia.

Eppure, di «sostenibil­ità» si parla molto. Uno dei problemi è che i sistemi di valutazion­e ambientali utilizzati per gli edifici (Breeam, Leed) mischiano parametri troppo diversi, la cui somma può essere fuorviante: costruzion­i con alte emissioni di gas serra sono premiate con punteggi alti e così - nonostante la propaganda verde - la situazione non migliora. Nell’ultima parte, il volume prova quindi a farsi manifesto di un’architettu­ra a zero emissioni, capace di «rimettere in discussion­e tutti gli assunti».

Il lavoro di Calder non è, come proclama, «il primo libro a chiedersi come l’accesso umano all’energia abbia plasmato il mondo degli edifici»; è lontano dall’erudizione di classici come La città nella storia di Lewis Mumford e non ha la radicalità del saggio militante, per una politeness che spesso mitiga invece di approfondi­re le critiche più efficaci. Nonostante ciò è un’opera ambiziosa e degna di nota. Il taglio divulgativ­o, chiaro e coinvolgen­te, può infatti avere un impatto sulle nuove generazion­i, di cui è palpabile - anche per l’architettu­ra - l’insofferen­za verso gli schemi, i toni e le mitografie del secolo scorso.

La speranza è che simili letture possano contribuir­e a formare nuovi architetti - e nuovi committent­i consapevol­i (anche) energetica­mente. Su questo, Calder è ottimista: «Dai cambiament­i radicali che saranno necessari nei prossimi anni vedremo nascere nuove forme di bellezza».

OGGI L’EDILIZIA è FORTEMENTE «ENERGIVORA» E TRA LE PRIME RESPONSABI­LI DEL CAMBIAMENT­O CLIMATICO

Architettu­ra ed energia. Dalla preistoria all’emergenza climatica Barnabas Calder

Einaudi, pagg. 476, € 34

 ?? ?? Montréal. Il design della cupola geodetica della Biosfera, oggi museo ambientale, è dell’architetto statuniten­se Richard Buckminste­r Fuller
GABRIELE NERI
Montréal. Il design della cupola geodetica della Biosfera, oggi museo ambientale, è dell’architetto statuniten­se Richard Buckminste­r Fuller GABRIELE NERI

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