I VENT’ANNI DI «APICE», LA CASSAFORTE DEI FONDI LIBRARI
Vent’anni fa, di questi tempi, una piccola folla si radunava in una delle più belle aule dell’Università Statale di Milano. Si doveva presentare degnamente l’acquisizione dell’intera biblioteca di un milanese inimitabile, Vanni Scheiwiller, editore di migliaia di pubblicazioni uniche e rare con il marchio «All’insegna del pesce d’oro» (e anche artefice di molto altro: non ultimo, collaboratore del supplemento che state sfogliando). L’acquisizione, finanziata dalla Fondazione Cariplo, gran mecenate della cultura lombarda di questi anni, inaugurava l’attività di Apice, un centro nuovo di zecca dedicato alla conservazione di fondi librari importanti; un’operazione fortemente voluta dal rettore, Enrico Decleva, storico e appassionato di editoria: la sua monografia di Arnoldo Mondadori è ancora tra le migliori del genere.
Vent’anni possono essere pochi o tanti, a seconda dei casi. In quello di Apice sono stati decisamente fruttuosi: nel periodo il Centro - oggi diretto da Lodovica Braida, che in Statale insegna Storia della stampa e dell’editoria - si è arricchito enormemente, e oggi con i suoi 110mila volumi e 60 e passa fondi si configura come una delle maggiori imprese nazionali nel campo. Attento all’editoria come agli autori, soprattutto poeti, il Centro rappresenta una testimonianza notevole dell’incrocio tra due mondi che nel secolo scorso sono tradizionalmente andati a braccetto, ma negli studi sono quasi sempre considerati separatamente. Una convergenza confermata anche di recente, quando il compleanno dell’istituzione è stato festeggiato, come da prassi accademica, con un convegno con primari nomi di editoria e scrittura, Teresa Cremisi in testa. S’è pubblicato anche un libro, Parola, immagine e cultura editoriale (Corraini, pagg. 208, € 34), che riproduce alcuni dei volumi più sfiziosi conservati nell’archivio. Dal superbo Jazz di Matisse, capolavoro insuperato del genere, all’Anguria lirica di Tullio D’Albisola, uno dei capisaldi del Futurismo, il catalogo pare fatto soprattutto per suscitare le invidie infinite di quelli come il sottoscritto o Stefano Salis, che per alcuni di questi esemplari spenderebbero cifre molto al di là dei loro budget. Ma lo scopo, assai più noè quello di educare i più giovani all’arte del bel libro, come dichiarano in limine i due curatori Viviana Pozzoli e Paolo Rusconi, citando un esempio illustre: «Alan Bennett, in un breve scritto degli anni Duemila, attribuiva il suo giovanile apprezzamento per l’arte contemporanea a una iniziativa promossa dall’azienda petrolifera Shell, vale a dire stampare e distribuire nelle scuole primarie inglesi le riproduzioni delle opere dei moderni artisti».
Tanta bellezza - e mille altri libri, opuscoli, plaquettes, opuscoli che nell’antologia non hanno trovato posto - risiede oggi ad Apice grazie alle acquisizioni di una squadra che per i primi dieci anni è stata guidata da Alberto Cadioli. A lui un mese fa in Statale è stata dedicata un’altra serata affollata, e molto affettuosa, per salutare il suo congedo dall’attività accademica. Officiata da due delle sue allieve, Virna Brigatti e Isotta Piazza, artefici di tutto all’insaputa dell’interessato, la cerimonia è stata l’occasione per presentare un altro libro, Dentro e fuori il testo. Dall’editoria alla filologia (Ledizioni, pagg. 286, € 39), una miscellanea di contributi in onore del professore in uscita. Anche in questo caso la convergenza tra autori ed editori l’ha fatta da padrona. Cadioli è infatti quello che ha inventato la definizione di letterato-editore, per identificare gli scrittori che dal secondo Novecento in poi hanno lavorato nelle case editrici, delineandone e influenzandone la linea strategica: nomi come Vittorio Sereni, Cesare Pavese, Elio Vittorini o Italo Calvino, come dire il pantheon della nostra letteratura recente. Su queste figure si è concentrato molto lavoro di tanti laureandi e specialisti, che hanno utilizzato a supporto le carte di Apice; e così l’archivio ha ribadito il suo senso ultimo, che non è la pura conservazione, ma soprattutto la valorizzazione. In questo modo, all’ombra di Cadioli si è formata una generazione di ottimi esperti della materia. E, come tutti i migliori docenti, il professore ha anche seminato all’interno della sua famiglia: fuori dall’ambito universitario, il figlio Luca ha firmato alcuni dei più bei cataloghi antiquari della recente scena milanese; quello su Carlo Porta, in particolare, fa già parte delle migliori bibliografie sul tema. Buon sangue non mente.