SE IL CENTRISMO È STATO UNA NECESSITà
Lo storico indaga le figure di Aldo Moro, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, esaminandone il tentativo di costruire un’alternativa di governo: nessuno di questi disegni è risultato vincente
Nella collana dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici Piero Craveri ha riproposto quattro saggi che riguardano figure iconiche della transizione politica italiana dalla stabilizzazione di “centro” con appendice di un po’ di sinistra al suo dissolvimento: Moro, La Malfa, Berlinguer e Craxi. Vi ha premesso un ampio saggio (pp. 1-98) il cui titolo è esplicativo della sua interpretazione: L’equilibrio “centrista” del sistema politico italiano come necessità. Quello alternativo come eccezione.
L’autore si è cimentato più volte con l’analisi di questa peculiarità del nostro Paese (non chiamatela anomalia: in politica non esistono gerarchie di modelli) fino ad avere coniato una definizione che è rimasta famosa: «l’arte del non governo», a testimonianza delle difficoltà di arrivare a una democrazia decidente. Sono problemi che si collocano nella stessa fase fondativa della nostra Repubblica a cui Craveri ha dedicato anni fa uno studio importante su De Gasperi, altra figura chiave per capire la nostra storia politica.
Nel saggio introduttivo si affronta attraverso un’analisi puntuale dal 1947 la questione di un sistema costituzionale liberal-democratico che non si è potuto giovare del meccanismo dell’alternanza al governo di ali diverse dello schieramento politico. Quando nel 1976-78 sembrò per un momento che si potesse superare il tema della conventio ad excludendum del Pci per i noti problemi internazionali si vide presto che quanto si stava facendo era una «non risoluzione della questione comunista». Proprio a partire da questa constatazione diventano iconiche le quattro figure a cui si dedica attenzione specifica, perché tutte, ciascuna a suo modo, si posero il problema di risolvere questa anomalia. Craveri è giustamente affascinato dalla tragica figura di Aldo Moro che parte membro della stabilizzazione “centrista” e diventa poi il più lucido analista della crisi irreversibile di quel modello fino a pagare con la vita l’avvio del percorso verso il suo superamento. La possibilità di arrivare a un sistema basato sull’alternanza fra due grandi tradizioni storiche, il cattolicesimo politico come interprete del “partito della nazione” e la sinistra di matrice socialcomunista come fattore chiave per l’inserzione delle “masse” nello Stato non prevedeva accelerazioni nella visione dello statista democristiano, ma era già sufficiente a renderlo pericoloso per chi sperava di sfruttare la crisi italiana.
Da più di un punto di vista vale la stessa considerazione per La Malfa, anch’egli figlio della stagione di un centrismo che aveva cercato di trovare nel Psi di Nenni la sponda per svincolarlo dai limiti del moderatismo conservatore, ma anch’egli a un certo punto convinto che l’evoluzione del sistema sociale ed economico dell’Italia non fosse possibile senza una cooptazione al governo in qualche forma di un Pci che ormai stava diventando un partito progressista inserito nella modernizzazione storica ormai affermatasi.
Certamente la controparte di queste figure era il nuovo leader comunista Enrico Berlinguer, con l’ambiguità o se preferite ambivalenza di essere fuori dall’orizzonte ideologico del marxismo dottrinario, ma al tempo stesso dentro la sua storia con la caparbia volontà di non accettare per nulla di essere considerato “socialdemocratico” accettandone il superamento. Se si tiene presente questo, si comprende l’altro personaggio ambivalente, Bettino Craxi,
soffocato dal suo pragmatismo nella gestione dei rapporti politici. Al tempo stesso ha tentato di superare la preclusione verso il Pci offrendo una supremazia socialista come premessa e garanzia al pieno inserimento del Pci nel sistema di governo (senza trovare interlocutori né nella Dc né nel Pci).
Nessuno di questi disegni è risultato vincente e così si è arrivati nell’ultimo trentennio a ciò che sembra l’unica possibile momentanea stabilizzazione: vuoi in una destrutturazione delle forze politiche che hanno fondato la Repubblica, vuoi nella ricerca di una sorta di spuria unità nazionale o sotto forme coperte (quel “consociativismo” a cui Craveri ha dedicato altri significativi saggi) o ultimamente sotto forme palesi, ma giustificate dall’emergenza.
«L’ampia convergenza di forze politiche alla formazione della maggioranza di governo - scrive Craveri - garantisce la continuità dell’attuale sistema costituzionale, riproponendosi come formula necessaria, quando diventa improrogabile affrontare problemi decisivi di tenuta del sistema sia economico e sia anche istituzionale. Si congela così, senza invero risolverlo quel processo di crisi che è già in atto nella nostra democrazia», e che appunto va sotto il nome di “post-democrazia” (p. 81).
Cauta la conclusione: «Si tratta di un processo del quale è possibile individuare i sintomi e gli sviluppi, non l’esito finale». Un invito a riflettere e non per slogan, che va assolutamente colto.
Dalla democrazia “incompiuta” alla “postdemocrazia”
Piero Craveri il Mulino, pagg. 335, € 38