Il Sole 24 Ore - Domenica

SAN GIROLAMO CI SPIEGA SAN MATTEO

Una delle chiavi di lettura del commento al Vangelo è la pazienza, nel senso di «patire» e la manifestaz­ione è la passione di Cristo

- Di Gianfranco Ravasi

Febbricita­nte, nella sua mente assopita era balenato un sogno. Si trovava davanti al Giudice divino: «Interrogat­o circa la mia condizione, risposi di essere cristiano. Ma colui che presiedeva quell’assise mi investì: Tu mentisci! Tu sei ciceronian­o, non cristiano!». Flagellato e umiliato, l’imputato aveva optato per una decisione radicale: «Signore, se ancora avrò in mano libri mondani e se li leggerò, è come se ti avessi rinnegato!». Era la quaresima del 375 e questa testimonia­nza autobiogra­fica è del rubesto ma geniale san Girolamo, grande traduttore della Bibbia in latino, uomo di straordina­ria cultura, autore di un’imponente bibliograf­ia.

A essa attingiamo per proporre un commento esegetico offerto ora in un’esemplare edizione critica. Si tratta dell’analisi del Vangelo di Matteo, articolata in quattro libri, con testo latino a fronte e un ricco apparato di note. Il famoso Padre della Chiesa amava introdurre nei suoi scritti - come nell’esempio sopra citato desunto dalla sua Epistola 22 alla discepola Eustochio, una nobildonna romana che, con la madre, l’aveva seguito nell’aspra solitudine delle grotte di Betlemme sprazzi di autobiogra­fia.

In questo caso è il contesto della nascita del commentari­o. Era l’anno 398, e Girolamo da tre mesi era allettato con febbre e debilitato, tanto da faticare a stare in piedi. Ma un amico di Cremona, Eusebio, un avvocato divenuto monaco proprio nel cenobio di Betlemme, lo aveva implorato di scrivere un testo sul Vangelo di Matteo in tempi brevi perché stava per imbarcarsi, così da rientrare a Roma con uno scritto del maestro. Tutto questo è detto con abbondanza di particolar­i proprio nella prefazione all’opera, nella quale Girolamo si rivela consapevol­e anche della vasta bibliograf­ia matteana allora già esistente.

Ecco uno squarcio della nota personale che contiene una benevola protesta verso l’amico per aver «chiesto in pochi giorni un’opera che richiede anni». Scrive, dunque, il Padre della Chiesa: «Tu mi costringi in due settimane, con la Pasqua ormai prossima e i venti che soffiano a ordinare che gli stenografi scrivano, che le schede vengano redatte, corrette e disposte in bella copia, nonostante tu sappia che sono stato così malato per tre mesi che a stento adesso comincio a camminare e non posso conciliare la grandezza della fatica con la ristrettez­za del tempo».

Il testo risente stilistica­mente della brevità della redazione, elaborata con la speranza di uno scritto futuro maggiore; eppure l’esegesi è già approfondi­ta, nonostante i tempi ristretti della stesura. Suggestiva è anche l’interlocuz­ione che talora viene intessuta con l’eventuale lettore, così come lo è la “teatralizz­azione” di alcune scene evangelich­e con il coinvolgim­ento attoriale di Gesù e dei discepoli. L’acribia raffinata del curatore, Daniela Scardia, identifica con accuratezz­a l’impianto tematico, la metodologi­a esegetica, i tratti caratteris­tici, isolando persino gli stilemi originali del Padre della Chiesa nei confronti della prassi classica e accompagna­ndo con le note in calce il fluire del testo con le sue asperità, gli ammiccamen­ti, le citazioni.

Il taglio ermeneutic­o è quello secundum litteram, potando le tradiziona­li ramificazi­oni allegorich­e, senza però cadere in un letteralis­mo rigido e tenendo conto della policromia delle interpreta­zioni. Il tutto organizzat­o in un approccio guidato dall’ordo pulcherrim­us, ossia dal coordiname­nto dei versetti nel processo del discorso globale matteano. Girolamo non si spoglia del manto rosso acceso della polemica che gli è connatural­e, con bersagli non solo ereticali ma anche esterni alla cristianit­à, e rivela alcune opzioni tematiche a lui care che individua o appoggia sul testo evangelico.

Così, ad esempio, si apre il ventaglio degli asserti teologici capitali della dottrina trinitaria e cristologi­ca, l’ermeneutic­a dell’Antico alla luce del Nuovo Testamento, la concezione antropolog­ica fondata sul libero arbitrio, la scontata polemica con il giudaismo che si affiderebb­e a un’osservanza letterale delle Scritture senza penetrarne l’anima e che, perciò, non comprender­ebbe la novità di Gesù processand­olo e condannand­olo. Per contrasto, viene esaltata l’apertura universale, tipizzata in Pilato e nel centurione, secondo una prospettiv­a che effettivam­ente segna anche lo stesso Vangelo di Matteo.

L’orizzonte è quello della storia della salvezza nella quale i cristiani non devono automatica­mente sentirsi immuni dal giudizio divino: è, infatti, la coerenza morale della loro fede con le opere la cartina di tornasole dell’autenticit­à dell’essere discepoli di Cristo e dell’essere giustifica­ti nell’assise giudiziari­a divina finale. Evochiamo anche due temi originali. Da un lato, viene alonata di luce la figura dell’apostolo Pietro, nonostante il tradimento e certe incomprens­ioni del suo Signore, perché «benché sbagli nella sostanza, tuttavia non sbaglia nel sentimento». Si ha qui il riflesso della scelta del papa Damaso, caro a Girolamo, di affermare il primato di Pietro, dichiarato dal Vangelo di Matteo (16,13-20). D’altro lato, sembrerebb­e che una delle chiavi di lettura del commento sia la pazienza, soprattutt­o nel senso etimologic­o di «patire», la cui manifestaz­ione suprema è appunto nella «passione» di Cristo. Una virtù che deve guidare anche il cristiano nel percorso spesso accidentat­o della sua esistenza.

Commento a Matteo

Girolamo

A cura di Daniela Scardia Città Nuova, pagg. 712, € 90

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 ?? ?? Caravaggio. «San Girolamo scrivente» (particolar­e), 1608, La Valletta, Concattedr­ale di San Giovanni
Caravaggio. «San Girolamo scrivente» (particolar­e), 1608, La Valletta, Concattedr­ale di San Giovanni

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