QUANDO IL RITUALE ERA RIBALTARE I RUOLI
Gregory Bateson ha studiato il cerimoniale in cui gli Iatmul della Nuova Guinea mettono in scena il travestimento e la contrapposizione tra i sessi
Avolte ritornano. E in questo caso c’è da rallegrarsene. Perché parliamo di una delle più importanti ricerche etnografiche, fondamento degli studi antropologici del Novecento: Naven. Un rituale di travestimento in Nuova Guinea, opera prima di Gregory Bateson. Il volume era uscito nel 1988 nella collana Microstorie diretta da Carlo Ginzburg e Giovanni Levi per Einaudi, nata quando lo scambio tra antropologia e storia era intenso. Se ne conserva la traduzione di Barbara Fiore Cardona e l’introduzione di Michael Houseman e Carlo Severi. Mentre il curatore, Gaetano Mangiameli, ha escluso il saggio di George E. Marcus aggiunto in appendice.
Naven appare nel 1936 (ampliato nel 1958 con un importante epilogo), quindici anni dopo le prime ricerche di campo come The Andaman Islanders di RadcliffeBrown e il più famoso Argonauti del Pacifico occidentale di Malinowski, del 1922. Fu soprattutto il primo a spingere il giovane Bateson a studiare una cerimonia ritenuta fino ad allora un enigma, naven, un rituale che gli Iatmul della Nuova Guinea celebrano ogni volta che un adolescente compie un’impresa significativa: da catturare un animale a suonare un tamburo, andare e tornare da un villaggio, fino a uccidere uno straniero. In ognuna di queste occasioni il fratello della madre indossa sottane d’erba e mima una femminilità grottesca in un gioco omossessuale con il nipote, mentre le sorelle del padre si addobbano con ornamenti maschili esprimendo orgoglio e autoaffermazione virile, costruendo così una rappresentazione retta da rovesciamenti cerimoniali che mettono in scena il contrasto e la contrapposizione tra i sessi.
Ecco così che il giovane dottorando della London School of Economics si ritrova in Papua Nuova Guinea, sul fiume Sepik, dove nel 1932 incontra Margaret Mead e Reo Fortune. I tre condividono spazi di fortuna e discussioni accese. Ed è lì che ricevono il manoscritto di Modelli di culture di Ruth Benedict, maestra della Mead cui è sentimentalmente legata, che influenzerà i loro lavori. Quell’esperienza diventa un laboratorio in cui soprattutto Mead e Bateson elaborano teorie sulla rappresentazione dei sentimenti e delle emozioni, sul contrasto tra mascolinità e femminilità: lui comincia a mettere a punto l’idea dell’ethos, cioè di quella caratteristica sociale che determina la personalità individuale, che farà da filo conduttore nell’interpretazione del naven, mentre lei pone le basi della distinzione tra sesso e temperamento che diventerà un libro nel 1935. Ma lo scambio non fu solo intellettuale: un’inattesa scintilla scattò tra Gregory e Margaret che si sposarono nel 1935. «I più begli anni del loro matrimonio – ricorderà la figlia Mary Catherine, anch’essa antropologa – furono quelli in cui assieme svolsero ricerche a Bali e in Nuova Guinea e che produssero una famiglia di libri ai quali entrambi contribuirono in modi diversi» come Balinese Character. A Photographic Analysis del 1942.
Quali le ragioni di quello “strano” comportamento rituale messo in scena nel naven? Come spiegarlo? Innanzitutto ampliando il raggio d’azione e trasferendo l’attenzione al contesto, al sistema sociale di cui quell’atomo rituale è una piccolissima ma rappresentativa sintesi. Per comprenderlo, però, bisogna operare una sorta di “vivisezione” dei comportamenti: «visto che è impossibile far rientrare tutta una cultura simultaneamente in un unico quadro», è necessario smontare le azioni umane in elementi posticci cominciando «l’analisi da un punto scelto arbitrariamente» ma che, seguendo le ragioni strutturali,
sociologiche o le linee della parentela, permette di evidenziarne le regole fondative. Tutto questo spezzettamento permette di acquisire i dati necessari per la comprensione delle azioni umane che solitamente seguono le logiche unitarie e generali dell’ethos. E sarà proprio la descrizione dei vari aspetti del contesto culturale così frammentato che permetterà a Bateson di mostrare quella sorta di doppio legame che unisce il cerimoniale e i vari aspetti della cultura trasformandolo in azione rivelatrice.
Naven tuttavia non è solo questo: è un libro di riflessioni, di pause e di riprese, un racconto che mostra il processo, tra difficoltà e successi, di un pensiero applicato alla concretezza della vita. Ma più di tutto, è «uno studio sulla natura della spiegazione», perché spiegare non significa trovare ragioni e motivazioni esterne ai fatti, ma è il modo in cui i dati raccolti possono essere messi assieme. E proprio in questo sta la distanza polemica dai rappresentanti della scuola struttural-funzionale che l’avevano inviato sul campo. Le loro risposte furono inevitabilmente evasive: Radcliffe-Brown vide nel suo lavoro «una sorta di autobiografia intellettuale»; mentre Malinowski senza citarlo si opponeva alle «abitudini teoriche di una nuova generazione di antropologi, capaci soltanto di inventare ogni mese nuovi criteri interpretativi, e di imporre strane e allarmanti deformazioni alla realtà umana». Solo con gli anni Sessanquelle Naven diventerà una pietra miliare per la nuova antropologia critica e interpretativa e rimane tutt’oggi un modello utile a ribadire l’importanza dell’etnografia come necessità del confronto per leggere i comportamenti e le relazioni, al di là degli stereotipi preconfezionati, come metodo che mette alla prova l’immaginazione antropologica, in modo da spingersi oltre i limiti della conoscenza e del sapere e, soprattutto, è una lezione ancora attuale per quelle derive postmoderne nelle quali il lavoro di campo non serve a misurarsi con gli altri ma principalmente a raccontare se stessi.
CERCò LE RAGIONI DI QUESTO STRANO COMPORTAMENTO METTENDO INSIEME I DATI SECONDO LOGICHE DELL’ETHOS
Naven. Un rituale di travestimento in Nuova Guinea
Gregory Bateson
Raffaello Cortina, pagg. 324, € 28