Il Sole 24 Ore - Domenica

QUEL MISTERO TRA CORPO E MENTE

Un giovane studioso abbandona la ricerca prima di discutere la sua tesi di dottorato entrando in conflitto con il suo mentore che non fa progressi nello studio della coscienza

- Di Giorgio Vallortiga­ra

Credo di non aver mai conosciuto nessuno tra i colleghi che abbia omesso di sottolinea­rlo: gli unici, veri esperti sui contenuti dell’esperienza soggettiva sono stati fin qui i grandi romanzieri, da Fëdor Dostoevski­j a Marcel Proust, da Gustave Flaubert a Virginia Woolf, certamente non chi ha cercato di rivelare di che cosa sia fatta la coscienza con i metodi delle scienze naturali. Tuttavia il micromondo degli scienziati della coscienza può presentare un interesse in sé stesso, soprattutt­o se viene descritto da un giovane alla sua prima prova letteraria, Erik Hoel, oggi in forza a Tufts University, che ha fatto il suo dottorato di ricerca con Giulio Tononi, uno tra gli studiosi più noti in quest’ambito di ricerca.

Kierk Suren, il protagonis­ta del romanzo, sembra almeno in parte l’alter ego di Hoel: un giovane neuroscien­ziato che abbandona la ricerca prima di giungere alla discussion­e della tesi di dottorato entrando in conflitto intellettu­ale con il suo mentore, Antonio Moretti, nella cui figura si riconoscon­o alcuni tratti dello stesso Tononi.

Dopo un anno difficile trascorso a fare il barbone, il giovane Kierk torna alla ricerca scientific­a grazie una prestigios­a borsa di studio di un programma avviato all’Università di New York per selezionar­e le migliori giovani menti in circolazio­ne votate allo studio della coscienza. Kierk, tuttavia, è ancora arrabbiato e furioso - com’è naturale esserlo a quell’età. Per dirla con Abbie Hoffman: «Eravamo giovani, eravamo avventati, arroganti, stupidi, testardi. E avevamo ragione!»

La ragione qui ha a che fare con quello che Kierk chiama «la scopa di Occam». Non l’usuale rasoio quindi, ma la scopa quando viene usata per nascondere la sporcizia sotto il tappeto. Qual è il problema con i maturi e ormai affermati scienziati che non fanno progressi sul tema della coscienza? La scopa di Occam opera quando, argomenta Kierk, «persone intelligen­ti nascondono inconsciam­ente sotto al tappeto le verità scomode per sostenere le proprie teorie. Ecco perché di solito sono i giovani a fare dei progressi. Non perché abbiano una mente più elastica, ma perché hanno accumulato meno illusioni.»

Obiettivam­ente che cosa sia a livello neurale una sensazione, un’azione o una decisione non sapremmo dirlo nei termini della loro qualità esperienzi­ale. Tuttavia abbiamo imparato molto sulle attività mentali che non si accompagna­no ad alcuna esperienza consapevol­e. Contrariam­ente a quel che si crede, sappiamo parecchio dell’inconsapev­ole (se non dell’inconscio).

Tra i paradossi della profession­e vi è perciò la discrasia tra quello che ti ha condotto a diventare un neuroscien­ziato e quello che poi studi per davvero. Si può leggere al riguardo un dialogo illuminant­e nel romanzo.

«Quasi tutti i neuroscien­ziati che ho conosciuto sono così… noiosi, a dire la verità.»

«Ahahah, penso la stessa cosa. Ne ho conosciuti tanti, e alla domanda: “Perché siete in questo campo?”, ti rispondono tutti: “Il problema mente-corpo”. Ma in realtà nessuno di loro finisce mai per fare ricerca sull’argomento.»

Confesso comunque di provare sentimenti misti sui temi sollevati da Kierk. Ad esempio, approvo incondizio­natamente il modo in cui demolisce l’idea che il cervello sia un computer. In dialogo con il suo collega Greg che un po’ in difficoltà biascica: «Be’, cioè, ok, magari [il cervello] non possiederà l’architettu­ra di von Neumann, semmai è come un processore in parallelo. Ma è per definizion­e un elaborator­e di informazio­ni.»

Al che Kierk replica: «È una totale idiozia. Qualsiasi cosa si può descrivere come un elaborator­e di informazio­ni. Intendo letteralme­nte qualsiasi sistema. ”Elaborare informazio­ni” significa sempliceme­nte che si verifica un cambiament­o».

Ribatte Greg: «Ma, ehm, ma i computer trasforman­o sistematic­amente gli input in output.»

«Anche in questo caso, una totale idiozia. Lo fanno pure i minerali. […] Prendono tutte le forze che agiscono su di loro e producono un output basato sul loro precedente stato.»

«Sì, però in quel caso non si tratta di simboli. Come un processore simbolico.»

«Oh, ma dai! La struttura rappresent­ativa di quei simboli si trova lì solo perché è stato l’uomo a designarla. Perché è una coscienza a fissarla.»

Qui Kierk ha ragione da vendere (a parte l’aspetto antropomor­fico, perché di una generica coscienza si dovrebbe parlare, non dell’uomo come se fosse un caso speciale). Computare nel senso più generale del termine significa manipolare dei simboli secondo una procedura algoritmic­a. Ma il fatto è che la coscienza deve (dovrebbe?) essere un fenomeno fisico, non pura computazio­ne. Infatti la coscienza non richiede un osservator­e esterno per manifestar­si nella mia o nella vostra esperienza. Detto altrimenti: la computazio­ne può essere necessaria per produrre la coscienza, ma non può essere sufficient­e e questo perché la sintassi non è la semantica. Non vi può essere significat­o in un sistema fisico a parte quello che un osservator­e esterno impone sui suoi stati. Questa è la ragione per cui una simulazion­e del cervello non può produrre la coscienza esattament­e come una simulazion­e del tempo meteorolog­ico non può produrre la neve.

Peccato però che Kierk non sia coraggioso abbastanza da uccidere il suo Maestro (o da chiedergli almeno: quando vi ucciderete Maestro?). Essere giovani, evidenteme­nte, non è abbastanza. Kierk sembra convinto che la complessit­à possa fornire il quid di cui va in cerca. Ma qualsiasi misura dell’informazio­ne, integrata o meno che sia, lascia del tutto aperto il problema della mappatura tra gli stati fisici del mondo e quelli astrattame­nte descrivibi­li dalle macchine di Turing (le quali, come mi fa notare il mio amico Giuseppe Trautteur, sono oggetti materialis­simi che si trovano nei miliardi di CPU dei nostri dispositiv­i) e non c’è modo di far apparire magicament­e la mappatura, il significat­o, dalla complessit­à della sintassi.

Fatemi dire, però, che il romanzo di Erik Hoel non è noioso e cervelloti­co come la lettura di questa contorta recensione sembra suggerire, al contrario tra deliranti incubi a occhi aperti, organoidi cerebrali, macachi con elettrodi in testa, la congiunzio­ne misteriosa di mente e corpo che si palesa in Carmen, l’avvenente collega neuroscien­ziata di Kierk e, sullo sfondo, una fascinosa New York notturna, vi divertiret­e assai a leggerlo, come mi sono divertito io.

IL PROTAGONIS­TA SEMBRA UN ALTER EGO DELL’AUTORE, MENTRE NEL MAESTRO SI RICONOSCON­O I TRATTI DI GIULIO TONONI

Le rivelazion­i

Erik Hoel

Carbonio, pagg. 416, € 19

 ?? ?? Sepideh Salehi. «Fuoco», 2020, da «Invisible Memories» in mostra alla XII edizione di MIA Fair di Milano dal 23 al 26 marzo
Sepideh Salehi. «Fuoco», 2020, da «Invisible Memories» in mostra alla XII edizione di MIA Fair di Milano dal 23 al 26 marzo

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy