TUFFIAMOCI NELL’ARCOBALENO
La mostra del Mudec esplora il fenomeno dal punto di vista scientifico, antropologico e artistico: nella cultura greco-romana è un ponte, in quella giudaica un’arma, per Balla colori in movimento
Nella sua Lamia(1820), Keats lamentava che «il tocco della fredda filosofia» aveva contribuito a distruggere l’incantesimo dell’arcobaleno. Il suo disappunto era rivolto a Newton, che con i suoi studi aveva ridotto quel segno di meraviglia per antonomasia all’arida sequenza dei colori prismatici. In realtà, la paura di Keats era infondata e l’arcobaleno è ancora oggi un fenomeno il cui significato presenta confini difficilmente circoscrivibili e tanto più affascinanti.
Su questa trasversalità si basa la mostra Rainbow. Colori e meraviglia tra miti, arti e scienza, che apre il 17 febbraio al Mudec-Museo delle Culture di Milano. Prendendo spunto dalla storica mostra The Rainbow Show (San Francisco, 1975), questo progetto espositivo, dal taglio fortemente multidisciplinare, esplora la poetica e la materialità dell’arcobaleno dal punto di vista scientifico, antropologico e storico-artistico, arrivando a lambire la ricerca artistica contemporanea.
L’arcobaleno è la materializzazione evanescente ed effimera, ma non per questo meno potente, di un ponte tra la terra e il cielo: per questo anima miti e leggende diffusi in tutto il mondo sin dall’antichità. È un’apparizione ultraterrena che può portare abbondanza e fertilità, ma anche sventura e tragedia se non le viene riservato il rispetto che merita la sua natura divina.
In Asia, Australia, Africa e curiosamente anche nella zona andina, l’arcobaleno è un serpente che regola le acque cosmiche. Il culto dell’arco iris è ben documentato nell’attuale Perù da una ricca iconografia presente nelle terrecotte e nei bassorilievi dei templi di epoca preispanica, dove compare come un serpente bicefalo il cui aspetto spaventoso deve richiamare alla memoria collettiva i devastanti fenomeni del Niño: inondazioni che con una certa regolarità flagellavano, e ancora flagellano, le coste pacifiche delle Americhe. Il serpente bicefalo multicolore, nell’iconografia Chancay, è anche simbolo del cosmo associato sia al cielo che almondodeimorti,eperquestospesso usato per ornare il capo dei nobili defunti. Con questo portato ambivalente, lo si ritrova in diversi miti di rigenerazione in varie parti del mondo.
Anche nella mitologia greca e romana resta vivo il concetto di ponte: Iride è la messaggera degli dei e personificazione dell’arcobaleno, che la stessa crea come sentiero per spostarsi fra cielo e terra.
Occorre arrivare alla tradizione giudaico-cristiana per trovare un diverso significato simbolico, in particolare nell’episodio biblico del Sacrificio di Noè dopo il diluvio, presente in mostra in una versione dipinta a inizio Seicento da Sinibaldo Scorza (in prestito da Palazzo Rosso di Genova). Diversamente dall’Apocalisse, dove si incontra la parola îris, il termine ebraico che compare nella Genesi è qešet, a indicare un’arma: l’arcobaleno, come un arco deposto in cielo dopo il combattimento, è il segno della rinnovata alleanza tra Dio e il genere umano dopo il diluvio.
È qui che si modifica per sempre la lettura del fenomeno, rendendolo simbolo del perdono divino e promessa di una nuova vita. Il passo con protagonista Noè ha dato vita a una ricca iconografia che lo Scorza, esponente della scuola genovese con una particolare affinità per la pittura fiamminga, restituisce attraverso un cielo atmosfericamente corretto dove compare un raro arcobaleno bianco, che si verifica solo in particolari condizioni di nebbia.
Del resto, si tratta pur sempre di un fenomeno di rifrazione e riflessione della luce in rapporto alla posizione del sole e alla dimensione delle gocce d’acqua, come ricorda una delle incisioni del capolavoro di Johann Jakob Scheuchzer, Physica sacra (1731). L’affascinante studio di teologia naturale è un tentativo di conciliare le ragioni della religione con quelle della scienza. Così, il tono sublime del paesaggio alpino attraversato da una cascata è accostato alla modernità di schemi di ottica che compaiono nel cielo quasi a prefigurare le ricerche delle future avanguardie artistiche.
Due secoli più tardi il Modernismo europeo, alimentato dal progetto di una riorganizzazione radicale non solo del mondo, ma soprattutto dell’arte, presta particolare attenzione alla teoria del colore. L’emancipazione del colore, la sua affermazione come mezzo artistico indipendente, apre una nuova fase nell’approccio scientifico alla teoria cromatica, al centro delle ricerche di diverse scuole, come la Bauhaus.
Proprio attraverso il contatto con l’ambiente artistico tedesco il futurista Giacomo Balla, durante il suo soggiorno a Düsseldorf (1912-1913), sviluppa i suoi esperimenti sulle iridi. Si tratta di effetti di rifrazione della luce nei quali torna sempre una forma triangolare - il cui archetipo risiede nel prisma di Newton - che, riflettendosi specularmente su tutta la superficie della tela, restituisce gradienti di colore studiati in base alla teoria della percezione, e che presto l’artista amplierà al tema del movimento. Compenetrazione iridescente n. 7 (1912), con cornice sagomata dall’artista a riprendere il tema geometrico dell’opera, testimonia il suo interesse per la diffusione prismatica della luce e per la natura, dove scorge «nelle acque dai colori iridescenti […] di quegli effetti che è meglio considerarli indipingibili».
Lo studio analitico di forme e fenomeni luminosi si riconosce inoltre nelle opere - anche queste in mostra di Josef Albers, Frank Stella e Sh saku Arakawa. Il cortometraggio Danse serpentine (Loïe Fuller), realizzato dai Fratelli Lumière (1896) e colorato fotogramma per fotogramma, fa da ponte con le performance e le ricerche di artiste contemporanee come Judy Chicago, Diana Thater, Amalia Del Ponte. Questi nomi non esauriscono ancora i filoni di ricerca dell’esposizione che si presenta come un programma in continua evoluzione, grazie anche a un palinsesto con interventi sul territorio ed eventi in collaborazione con il Planetario e il Museo di Storia Naturale. A riprova che la scienza anziché «disfare un arcobaleno», come temeva Keats, aiuta a ricomporlo attraverso punti di vista sempre nuovi.