Il Sole 24 Ore - Domenica

HYBRIS CON FISCHI, RANTOLI E RISATE GARANTITE

- Di Claudio Giunta

Chissà come sarebbe un Giardino dei ciliegi fatto da Antonio Rezza e Flavia Mastrella. O un Amleto. Fino a poco tempo fa era una domanda da non porsi nemmeno, perché sul palcosceni­co Rezza era quasi sempre da solo. Ma nel nuovo spettacolo, Hybris, visto al teatro Puccini di Firenze, le cose cambiano, la rappresent­azione ruota sempre attorno al corpo e alla voce di Rezza ma il palcosceni­co è pieno di gente. Perciò non sarebbe così assurdo domandarsi se nella maturità di questo scrittore e performer geniale non ci potrà essere una conversion­e al teatro tradiziona­le, alle storie scritte da altri, con un cast, un regista, se non altro per condivider­e la fatica. Solo che la sostanza, il contenuto di Hybris spinge nella direzione opposta.

Hybris comincia con un rantolo e finisce con un fischio, anzi con cinque minuti di fischi che a poco a poco, grazie al talento mimetico di Rezza, acquistano senso. Tra il rantolo e i fischi il monologo è costante e quasi ininterrot­to. Rezza non ha mai parlato tanto, e tanto velocement­e. Gli altri spettacoli erano succession­i di quadri distinti, con certe parole-chiave che ricorrevan­o qua e là come Leitmotiv. Qui il quadro è unico, lo spazio per le invenzioni di Mastrella è meno grande che in passato, la storia è una sola, salvo il fatto che – come sanno gli ammiratori di Rezza – storia non va inteso come un'ordinata succession­e di fatti ma come una situazione iniziale sempliciss­ima che evolve nei modi più imprevedib­ili grazie ai movimenti dei comprimari e all’affabulazi­one del protagonis­ta. C’è una porta, c’è Rezza che se la trascina dietro, ci sono i visitatori-scocciator­i che vogliono e non vogliono entrare nella sua casa immaginari­a, e c’è Rezza che vuole e non vuole uscirne per incontrare il mondo (questa dialettica tra dentro e fuori, tra chiuso e aperto, tra casa propria e casa d’altri è una delle chiavi dell’opera di Rezza-Mastrella, sin dai tempi dei magnifici sketch di Pitecus: c’è sotto una vocazione alla solitudine che combatte con una voglia anche gioiosa di essere nel mondo: e lo si vede nel foyer, quando dopo lo spettacolo Rezza saluta molto gioiosamen­te gli spettatori.

I corpi, le parole; e sempre meno trama, sempre meno significat­o. È la ricetta rezziana standard, salvo che qui ci sono ancora più corpi e – incredibil­mente, per chi ha in mente la logorrea passata – ancora più parole. Hybris corona quell’evoluzione dal figurativo all’informale che sembra essere una delle cifre degli ultimi lavori di Rezza-Mastrella. Nel loro magico pentolone si raffina da anni una surrealtà sempre più pura e immaterial­e che, più che nel teatro, cerca i suoi termini di paragone (e forse la sua ispirazion­e) nella musica o nella pittura astratta. È una vera, rara esperienza artistica, di impareggia­bile originalit­à; in più, come sempre, fa molto ridere.

Hybris

Flavia Mastrella e Antonio Rezza Rosignano, Teatro Solvay 14 febbraio, poi in tournée

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