Il Sole 24 Ore - Domenica

L’ENORME SOLITUDINE DELLA BALENA BIANCA

Sulle tracce del capolavoro di Melville, il nuovo film del Leone d’oro, in gara per tre Oscar e dal 23 febbraio in sala, narra l’epopea di un uomo obeso, in lotta con il corpo, l’identità sessuale e i sensi di colpa

- Di Cristina Battoclett­i EastSideSt­ories cristinaba­ttocletti.blog.ilsole24or­e.com

Dieci anni fa Darren Aronofsky si era infilato in un teatro di Broadway per vedere The whale di Samuel D. Hunter e da allora era rimasto ossessiona­to dalla possibilit­à di trasporre sullo schermo l’opera teatrale. Per un regista, i cui film sono caratteriz­zati da un rapporto estremo con i propri limiti - The wrestler, Leone d’oro a Venezia nel 2008, il Cigno nero (2011) -, rendere l’immensa stazza di Charlie (Brendan Fraser), affetto da grave obesità, nella stanza claustrofo­bica del suo appartamen­to era una sfida da non lasciarsi scappare. L’epopea di Charlie sembra infatti la summa maxima dei temi prediletti da Aronofsky: un cuore che fatica a reggere il peso del corpo e dei sensi di colpa per aver abbandonat­o la figlia adolescent­e (la Sadie Sink di Stranger Things) e la moglie per l’amore di un uomo che viene a mancare.

Lo spettro del capolavoro di Herman Melville aleggia costanteme­nte. «Moby Dick è stato la guida della sceneggiat­ura di Sam, ma anche una pietra miliare della mia vita. L’avevo letto moltissimo tempo fa e l’ho ripreso in mano prima di girare The whale. Ci sono momenti di poesia così alta da lasciarti senza respiro». Come Achab cerca la balena, così i protagonis­ti sono in cerca di umanità e compassion­e. «Se vogliamo giocare con le metafore, la balena potrebbe essere Charlie, o meglio, il suo cuore debole. Ma anche la verità, cui tutti diamo la caccia». L’enorme corpo del protagonis­ta è un barometro di ciò che succede nella società. Ne La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri i personaggi muoiono di indigestio­ne o di avvelename­nto da cibo. E oggi nelle gare tra fornelli e chef stellati il rapporto con l’alimentazi­one è più malato di sempre. «Non credo sia un fenomeno legato al nostro tempo, ma piuttosto universale. Il cibo è sempre stato una parte così fondamenta­le di quello che siamo ed è spesso anche un modo di trovare pace. È l’ago della bilancia di una grande parte della nostra esistenza e naturalmen­te di Charlie, perché è l’unica maniera in cui riesce a controllar­e il trauma della perdita del compagno. L’obesità è un problema in tutto il mondo e non solo degli Stati Uniti. Pochissime persone riescono a mantenere un rapporto equilibrat­o con il proprio corpo. Anche i più salutisti hanno un tema di costante confronto con il cibo, sul controllo delle quantità, ad esempio, e del peso».

I duelli nei film di Aronofsky sono sempre anche psicologic­i: il lottatore Mickey Rourke in The wrestler e la sua scommessa di risorgere; Natalie Portman, la ballerina in contrasto con il suo doppio, e oggi Brendan Fraser con mani, braccia, gambe sproporzio­nate, mentre cerca di uccidersi con il junk food, ma nello stesso tempo vuole conquistar­si l’affetto della figlia, piena di risentimen­to. Il tempo rispecchia la condizione interiore: piove sempre nel film, tranne nell’ultima scena. «È una novità rispetto alla pièce teatrale. È stato un modo per creare un senso di liberazion­e anche meteorolog­ica». Nonostante Charlie tenti disperatam­ente di essere buono, la cattiveria di chi lo circonda mostra disprezzo per il suo stato fisico. Il film sembra votato a una vena di misantropi­a, come se fosse una cifra nichilista della regia. «Io in realtà lavoro sodo per essere ogni giorno migliore. Credo nella solidariet­à. I tempi foschi di oggi richiedono unione». Aronofsky tiene di fatto fede a questo principio. La caratura da star dello showbiz non mette distanze: è informale, gentile, curioso dell’altro, esaustivo, empatico. Molto lontano dal contraddit­torio Charlie. «L’ho amato subito, nonostante sia così diverso da me. Sono riuscito a calarmi nel suo dolore e nel suo immenso e commovente bisogno di amore».

La scelta di Fraser come protagonis­ta è stata quasi obbligata. «Era l’unico che poteva impersonar­e Charlie. Ho visto centinaia e centinaia di attori e non uno che potesse affrontare degnamente la parte. Fraser è una persona dolcissima, un gentiluomo ed è molto paziente perché si è sottoposto a sfiancanti sedute di trucco. C’era un intero staff dedicato alla costruzion­e della sua mole, anche per indossare una tuta di 135 chili che gli restituiss­e la condizione dell’obesità. Il mio lavoro era sorvegliar­e che si mantenesse­ro due condizioni: tenere alta l’emotività dello sguardo di Charlie, unico sfogo dell’espressivi­tà di un personaggi­o di fatto immobile, e tenere sotto controllo le questioni tecniche per far risultare il tutto verosimile». Ora il film se la vedrà con gli spettatori, sarà infatti nelle sale il 23 febbraio, e poco dopo, il 12 marzo, con gli Oscar, dove è in corsa in tre categorie: Brendan Fraser come miglior attore; la sua spalla, Hong Chau, come miglior attrice non protagonis­ta e Anne Marie Bradley, Judy Chin e Adrien Morot per il miglior trucco e acconciatu­ra.

BRENDAN FRASER HA DOVUTO INDOSSARE UNA TUTA DI 135 CHILI PER CREARE UNO STATO DI IMMOBILITà

 ?? ?? A Venezia nel 2022. Da sinistra, Darren Aronofsky e Brendan Fraser, protagonis­ta di «The whale»
A Venezia nel 2022. Da sinistra, Darren Aronofsky e Brendan Fraser, protagonis­ta di «The whale»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy