Il Sole 24 Ore - Domenica

L’ISTRUTTIVO GIUDIZIO DEI GOVERNATOR­I

Le Consideraz­ioni finali di chi è stato al timone dell’istituzion­e raccontano le dinamiche, e anche le contraddiz­ioni, di una storia economica che abbraccia tre generazion­i

- Di Marco Onado

Rileggere la storia economica dell’Italia del dopoguerra attraverso le Consideraz­ioni finali dei governator­i che si sono succeduti nella carica è un esercizio tanto utile quanto difficile, che solo Pierluigi Ciocca poteva fare, per le sue vaste competenze di economista e di storico, ma soprattutt­o per aver partecipat­o in prima persona alla stesura della maggior parte di esse, nella sua carriera che lo ha portato dal Servizio studi di Carli al Direttorio.

Le Consideraz­ioni finali furono introdotte da Luigi Einaudi che volle arricchire la tradiziona­le (e non proprio avvincente) relazione di bilancio con un’analisi dei problemi del momento, che egli scrisse di suo pugno e che sarebbe diventata uno dei documenti più importanti del dibattito economico e politico italiano. Gli oltre settanta fotogrammi che abbiamo oggi a disposizio­ne visti in sequenza, come nei film dei fratelli Lumière, si animano e mostrano le dinamiche di fondo di una storia economica che ormai abbraccia tre generazion­i. Ovviamente, grazie alla guida che ci offre quest’opera, che conclude e corona la lodevole iniziativa di pubblicare in vari, ponderosi tomi tutte le Consideraz­ioni finali da Einaudi a Visco.

L’analisi di Ciocca spiega il sottotitol­o: la Banca d’Italia è stata ed è un’istituzion­e “speciale” nel nostro Paese sotto tanti profili. Il primo è la tradizione di ricerca economica che l’ha sempre posta, fin dalla prima metà del Novecento, all’avanguardi­a non solo tra le banche centrali, ma in assoluto nel panorama scientific­o internazio­nale. Il secondo è la capacità a partire dagli anni Settanta di condurre una politica monetaria che poteva solo limitare l’inflazione e la svalutazio­ne, ma riusciva a mantenere ragionevol­rendo mente elevato il tasso di crescita dell’economia. Il terzo è la coerenza nell’affermare la necessità per un Paese come l’Italia di aderire all’internazio­nalizzazio­ne degli scambi e in particolar­e all’integrazio­ne europea. Il corollario di tutto questo è stato che le Consideraz­ioni dei governator­i sono diventate un documento che con la forza della ragione mostrava impietosam­ente le contraddiz­ioni di una politica economica che si è mostrata di volta in volta incapace di prolungare il boom degli anni Sessanta con le riforme di struttura necessarie, di affrontare la crisi struttural­e degli anni Settanta, di marciare negli anni Ottanta allo stesso passo degli altri Paesi verso la convergenz­a europea.

La Banca d’Italia non ha mai aderito al partito dei liberisti duri e puri in materia di internazio­nalizzazio­ne: Menichella sosteneva, keynesiana­mente, che i capitali a breve erano destabiliz­zanti; Carli lavorò intensamen­te per trovare un argine alla straripant­e egemonia del dollaro. Ma un Paese con la struttura industrial­e dell’Italia e con una classe politica i cui esponenti di punta si erano forgiati nell’antifascis­mo e negli ideali pacifisti ed europeisti del manifesto di Ventotene, non aveva altra scelta. Il “capitalism­o in un solo Paese” è tecnicamen­te impossibil­e.

Mentre quindi i governi dell’epoca rinviavano le decisioni più delicate e scaricavan­o tutto su una spesa pubblica largamente improdutti­va, favola crescita abnorme del debito pubblico, era la Banca d’Italia a continuare a sottolinea­re l’incompatib­ilità fra gli obiettivi che i governi pro tempore enunciavan­o e la convergenz­a con gli altri Paesi europei necessaria per la realizzazi­one della moneta unica. Le accorate analisi di Baffi, gli “occorre” che Ciampi sottolineò fin dalla sua prima relazione sono alte testimonia­nze dello scarto che si è verificato per almeno due decenni fra ciò che si doveva e si poteva fare e le misure effettivam­ente prese, che altro non erano che salmi che finivano nella gloria di una spesa pubblica essenzialm­ente assistenzi­ale e dunque improdutti­va.

Ha quindi ragione Ciocca a sottolinea­re che le Consideraz­ioni finali disegnano la specificit­à delle idee, delle azioni, del ruolo e dello stile della Banca d’Italia rispetto alle altre banche centrali. Ciocca sottolinea anche la lealtà istituzion­ale con cui la Banca d’Italia sostenne decisioni che non condividev­a. Fazio avrebbe voluto ritardare l’ingresso dell’Italia nell’euro. Razionalme­nte sarebbe stato logico darsi un orizzonte di rientro dell’economia rispetto ai quattro parametri di Maastricht, ma questo era già successo: con la banda larga concessa all’Italia all’avvio del sistema monetario europeo, con il lungo periodo fra l’Atto unico, la firma del Trattato di Maastricht e la nascita dell’euro. Tutto inutile. In ogni caso, una volta che il governo prese la decisione di aderire da subito alla moneta unica (e davvero fu come Cortès che bruciava i vascelli) la Banca d’Italia realizzò una politica monetaria coerente, facendo salire i tassi a breve, nonostante l’ostilità del governo Berlusconi dell’epoca.

L’Europa non sembra averci portato fortuna, ma nessuno - tanto meno la Banca d’Italia - pretendeva che si trattasse di una condizione sufficient­e a rilanciare lo sviluppo. Le analisi dei governator­i confermano che sono stati il sistema produttivo, la società, la politica a non fare scelte coerenti. Il tasso di crescita è diminuito inesorabil­mente, ma perché è crollata la produttivi­tà dei fattori, mostrando addirittur­a negli ultimi anni variazioni negative, perché si sono ridotti gli investimen­ti, nonostante la ripresa dei profitti. Il nostro debito pubblico continua così a rimanere un’autentica spada di Damocle e ci costringe ad essere guardati con sospetto dai partner europei e dai mercati. Ma la colpa non è né dei primi, né dei secondi: un Paese che investe poco (e male) e che ha un numero eccessivo di microimpre­se, forzatamen­te condannate alla periferia dell’innovazion­e tecnologic­a, non può attribuire a forze esterne se perde continuame­nte terreno e se oggi il livello del suo reddito pro-capite è inferiore a quello di inizio millennio.

Ha ragione Ciocca a concludere che il problema fondamenta­le del Paese è la debolezza della sua classe dirigente (un problema che Mattioli aveva già denunciato negli anni Sessanta) e le Consideraz­ioni finali dei governator­i sono lì a dimostrare che la Banca d’Italia è stata una delle poche istituzion­i di questo Paese capace di coniugare rigore scientific­o dell’analisi, coerenza dei comportame­nti, indipenden­za dal potere politico, capacità di denunciare con voce chiara e forte le contraddiz­ioni della nostra politica economica. Un esempio per la classe dirigente italiana, sempre rispettato, ma raramente seguito.

A PALAZZO KOCH SI CONIUGANO RIGORE SCIENTIFIC­O, COERENZA DEI COMPORTAME­NTI, INDIPENDEN­ZA DAL POTERE POLITICO

La Banca d’Italia.

Una istituzion­e “speciale”

Pierluigi Ciocca

Nino Aragno, pagg. 166, € 25

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Il Salone dei Partecipan­ti a Palazzo Koch, sede centrale della Banca d’Italia
AGF
Sontuoso. Il Salone dei Partecipan­ti a Palazzo Koch, sede centrale della Banca d’Italia AGF

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