L’ISTRUTTIVO GIUDIZIO DEI GOVERNATORI
Le Considerazioni finali di chi è stato al timone dell’istituzione raccontano le dinamiche, e anche le contraddizioni, di una storia economica che abbraccia tre generazioni
Rileggere la storia economica dell’Italia del dopoguerra attraverso le Considerazioni finali dei governatori che si sono succeduti nella carica è un esercizio tanto utile quanto difficile, che solo Pierluigi Ciocca poteva fare, per le sue vaste competenze di economista e di storico, ma soprattutto per aver partecipato in prima persona alla stesura della maggior parte di esse, nella sua carriera che lo ha portato dal Servizio studi di Carli al Direttorio.
Le Considerazioni finali furono introdotte da Luigi Einaudi che volle arricchire la tradizionale (e non proprio avvincente) relazione di bilancio con un’analisi dei problemi del momento, che egli scrisse di suo pugno e che sarebbe diventata uno dei documenti più importanti del dibattito economico e politico italiano. Gli oltre settanta fotogrammi che abbiamo oggi a disposizione visti in sequenza, come nei film dei fratelli Lumière, si animano e mostrano le dinamiche di fondo di una storia economica che ormai abbraccia tre generazioni. Ovviamente, grazie alla guida che ci offre quest’opera, che conclude e corona la lodevole iniziativa di pubblicare in vari, ponderosi tomi tutte le Considerazioni finali da Einaudi a Visco.
L’analisi di Ciocca spiega il sottotitolo: la Banca d’Italia è stata ed è un’istituzione “speciale” nel nostro Paese sotto tanti profili. Il primo è la tradizione di ricerca economica che l’ha sempre posta, fin dalla prima metà del Novecento, all’avanguardia non solo tra le banche centrali, ma in assoluto nel panorama scientifico internazionale. Il secondo è la capacità a partire dagli anni Settanta di condurre una politica monetaria che poteva solo limitare l’inflazione e la svalutazione, ma riusciva a mantenere ragionevolrendo mente elevato il tasso di crescita dell’economia. Il terzo è la coerenza nell’affermare la necessità per un Paese come l’Italia di aderire all’internazionalizzazione degli scambi e in particolare all’integrazione europea. Il corollario di tutto questo è stato che le Considerazioni dei governatori sono diventate un documento che con la forza della ragione mostrava impietosamente le contraddizioni di una politica economica che si è mostrata di volta in volta incapace di prolungare il boom degli anni Sessanta con le riforme di struttura necessarie, di affrontare la crisi strutturale degli anni Settanta, di marciare negli anni Ottanta allo stesso passo degli altri Paesi verso la convergenza europea.
La Banca d’Italia non ha mai aderito al partito dei liberisti duri e puri in materia di internazionalizzazione: Menichella sosteneva, keynesianamente, che i capitali a breve erano destabilizzanti; Carli lavorò intensamente per trovare un argine alla straripante egemonia del dollaro. Ma un Paese con la struttura industriale dell’Italia e con una classe politica i cui esponenti di punta si erano forgiati nell’antifascismo e negli ideali pacifisti ed europeisti del manifesto di Ventotene, non aveva altra scelta. Il “capitalismo in un solo Paese” è tecnicamente impossibile.
Mentre quindi i governi dell’epoca rinviavano le decisioni più delicate e scaricavano tutto su una spesa pubblica largamente improduttiva, favola crescita abnorme del debito pubblico, era la Banca d’Italia a continuare a sottolineare l’incompatibilità fra gli obiettivi che i governi pro tempore enunciavano e la convergenza con gli altri Paesi europei necessaria per la realizzazione della moneta unica. Le accorate analisi di Baffi, gli “occorre” che Ciampi sottolineò fin dalla sua prima relazione sono alte testimonianze dello scarto che si è verificato per almeno due decenni fra ciò che si doveva e si poteva fare e le misure effettivamente prese, che altro non erano che salmi che finivano nella gloria di una spesa pubblica essenzialmente assistenziale e dunque improduttiva.
Ha quindi ragione Ciocca a sottolineare che le Considerazioni finali disegnano la specificità delle idee, delle azioni, del ruolo e dello stile della Banca d’Italia rispetto alle altre banche centrali. Ciocca sottolinea anche la lealtà istituzionale con cui la Banca d’Italia sostenne decisioni che non condivideva. Fazio avrebbe voluto ritardare l’ingresso dell’Italia nell’euro. Razionalmente sarebbe stato logico darsi un orizzonte di rientro dell’economia rispetto ai quattro parametri di Maastricht, ma questo era già successo: con la banda larga concessa all’Italia all’avvio del sistema monetario europeo, con il lungo periodo fra l’Atto unico, la firma del Trattato di Maastricht e la nascita dell’euro. Tutto inutile. In ogni caso, una volta che il governo prese la decisione di aderire da subito alla moneta unica (e davvero fu come Cortès che bruciava i vascelli) la Banca d’Italia realizzò una politica monetaria coerente, facendo salire i tassi a breve, nonostante l’ostilità del governo Berlusconi dell’epoca.
L’Europa non sembra averci portato fortuna, ma nessuno - tanto meno la Banca d’Italia - pretendeva che si trattasse di una condizione sufficiente a rilanciare lo sviluppo. Le analisi dei governatori confermano che sono stati il sistema produttivo, la società, la politica a non fare scelte coerenti. Il tasso di crescita è diminuito inesorabilmente, ma perché è crollata la produttività dei fattori, mostrando addirittura negli ultimi anni variazioni negative, perché si sono ridotti gli investimenti, nonostante la ripresa dei profitti. Il nostro debito pubblico continua così a rimanere un’autentica spada di Damocle e ci costringe ad essere guardati con sospetto dai partner europei e dai mercati. Ma la colpa non è né dei primi, né dei secondi: un Paese che investe poco (e male) e che ha un numero eccessivo di microimprese, forzatamente condannate alla periferia dell’innovazione tecnologica, non può attribuire a forze esterne se perde continuamente terreno e se oggi il livello del suo reddito pro-capite è inferiore a quello di inizio millennio.
Ha ragione Ciocca a concludere che il problema fondamentale del Paese è la debolezza della sua classe dirigente (un problema che Mattioli aveva già denunciato negli anni Sessanta) e le Considerazioni finali dei governatori sono lì a dimostrare che la Banca d’Italia è stata una delle poche istituzioni di questo Paese capace di coniugare rigore scientifico dell’analisi, coerenza dei comportamenti, indipendenza dal potere politico, capacità di denunciare con voce chiara e forte le contraddizioni della nostra politica economica. Un esempio per la classe dirigente italiana, sempre rispettato, ma raramente seguito.
A PALAZZO KOCH SI CONIUGANO RIGORE SCIENTIFICO, COERENZA DEI COMPORTAMENTI, INDIPENDENZA DAL POTERE POLITICO
La Banca d’Italia.
Una istituzione “speciale”
Pierluigi Ciocca
Nino Aragno, pagg. 166, € 25