SOSPENDERE I GIUDIZI PER CAPIRE MEGLIO LA VITA
Sul soffitto della biblioteca di Montaigne, nella torre del castello che si è salvata dall’incendio ottocentesco, vi sono delle scritte. La seconda trave maestra ne ospita quattro: tre in greco, una in latino. Sono ricavate dagli Schizzi pirroniani di Sesto Empirico (opera del II secolo della nostra era, un compendio dello scetticismo antico), anche se una di esse si ritrova nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio. Ecco la traduzione: «Non scendo a conclusioni», «Sospendo», «Esamino», «Per guida soltanto l’uso e i sensi».
Sono una palestra per l’intelligenza, un antidoto contro le certezze del mondo e i giudizi sicuri; inoltre ci proteggono da chi crede di avere sempre ragione. Gli antichi scettici, che Montaigne venerava come maestri, ricorsero al sostantivo «epoché». Nasceva dal verbo «epéchein» che significava l’arrestarsi del saggio nella ricerca della verità. Il termine indicherà poi, tra i greci, la «sospensione del giudizio».
Un invito ad astenersi dall’affermare o dal negare, a riconoscere che in molte realtà la conoscenza è inattingibile. Sempre Sesto Empirico negli Schizzi lo utilizza per conseguire l’imperturbabilità: «Sospensione del giudizio è un atteggiamento della mente per cui né rifiutiamo né accettiamo». Individua ben dieci modi con cui raggiungere l’epoché: «Per mezzo della contrapposizione dei fatti», opponendo «dati del senso a dati del senso, oppure dati dell’intelletto a dati dell’intelletto».
Tale divagazione tra gli scettici («sképsis» in greco si può tradurre ricerca, dubbio), non è casuale ed è suggerita da una raccolta di saggi sull’incertezza nei pensatori antichi e moderni, curata da Anastasios Brenner e Brigitte Pérez-Jean per l’editore Honoré Champion. In essa i primi contributi sono appunto dedicati a Sesto Empirico; l’indagine arriva a Wittgenstein e alla scienza contemporanea, senza dimenticare le questioni poste da Cicerone o da Gassendi, da Schulze o da Hume.
Pagine da meditare, giacché a differenza della certezza o della probabilità, l’incertezza è un tema trascurato in filosofia. Quella che nasceva dal suggerimento di «sospendere» i giudizi oggi è considerabile una modalità vaga; del resto, in relazione alla mente, assume, con valenza esclusivamente negativa, una colorazione psicologica e affettiva che non ha il dubbio.
Eppure con l’incertezza conviviamo. William Congreve in The Way of the World (1700) asserisce che «l’amore è soltanto fragilità dello spirito», data la sua incerta natura. Peccato che la prosecuzione della specie si basi su di esso. Quanto alla certezza, ne possediamo soltanto una: la stessa fine che attende i viventi. Anche quelli che si credono indispensabili.
L’incertitude chez les Anciens et les Modernes
Autori vari
Honoré Champion, pagg. 240, € 40