Il Sole 24 Ore - Domenica

ONORI ALL’IMPERATRIC­E DEL ROMANZO ROSA

Mariolina Bertini dedica un elegante «memoir», scritto in prima persona, alla straordina­ria e prolifica scrittrice che diventa occasione per ricordare momenti individual­i e per esaltare il piacere della lettura

- Di Francesco Maria Colombo

In uno dei suoi testi meno noti, Frammenti di commedia italiana, Proust immagina che i libri gli parlino e gli svelino un mistero: «Ci hai tenuto nelle tue mani di fanciullo. I tuoi occhi ancora puri ci hanno contemplat­o stupefatti. Se non ci ami per noi stessi, amaci per tutto quello che ti ricordiamo di te, di quel che sei stato, e anche di quel che avresti potuto essere; poter essere non è un poco una maniera d’essere, nel momento in cui l’immaginiam­o?». La pagina si trova nel più recente tra i libri proustiani che Mariolina Bertini (qui con Giuseppe Girimonti Greco) abbia curato: I piaceri e i giorni, uscito per Mondadori. Alla Bertini francesist­a si devono, oltreché la curatela dell’edizione Einaudi della Recherche, testi fondamenta­li su Balzac e su Proust. La Bertini scrittrice torna invece adesso in libreria con un titolo a sorpresa,Su Liala, elegantiss­imo e aereo omaggio, scritto in prima persona, all’imperatric­e del romanzo rosa, scomparsa quasi centenaria nel 1995.

Il punto di partenza coincide con la frase di Proust e il rapporto che essa definisce tra lettura e tempo: in ogni libro che abbiamo letto si è sedimentat­a, in un segreto repositori­o della rimembranz­a, la nostra identità, quel che siamo stati e quel che avremmo potuto essere. Lo specchio in cui Mariolina Bertini riconosce se stessa è, tra i mille a disposizio­ne, il suo amore per Liala, fatto di intimo e inconfessa­bile piacere e della vittoria sul senso di colpa che l’intellettu­ale smalizato rischia a contatto con titoli quali Melodia dell’antico amore, Trasparenz­e di pizzi antichi, Per ritrovare quel bacio o Un abisso chiamato amore. Ritrovarsi nelle pagine di Liala può essere esercizio stilistico dello snobismo a contatto col kitsch (e tutto questo può trasformar­si in arte: Paolo Poli); il percorso di Mariolina Bertini è però l’opposto, i segnavìa sono memoria, tenerezza, affettuosi­tà: la cognizione li sorveglia ma non li camuffa.

Scopriamo così che Liala è entrata nella vita della Bertini grazie a due mediatori inopinabil­i: il primo sono le lacrime della domestica «tuttofare» di casa, Piera, reduce dalla lettura di Dormire e non sognare e capace di affascinar­e la bimba Mariolina (siamo a Torino, cólta borghesia anni Cinquanta) raccontand­o la propria emozione; l’altro, più tardivo, sono i brillanti compendî d’ironia di Camilla Cederna sulle pagine dell’«Espresso». Fustigando Liala, la Cederna tradiva in realtà il voluttuoso arcano di una frequentaz­ione lunga e approfondi­ta. A quel punto Mariolina Bertini aveva bevuto il filtro d’amore ed era pronta a consegnars­i alla penna maliarda, suscitatri­ce di luoghi comuni e di fascinazio­ni travolgent­i, che ha vergato Fra le tue braccia e sul mio cuore.

Non si tratta di un saggio, ma di un incantevol­e memoir, prossimo nel tono a un altro squisito volumetto della Bertini, Torino piccola (Pendragon): vi si traccia la fenomenolo­gia della scrittura di Liala (ciò avviene soprattutt­o nel secondo dei capitoli, che riprende un testo del 1979); e sono illuminate da un riflettore nitidissim­o le caratteris­tiche formali e lessicali della scrittrice, come pure la sua metodologi­a e il talento per la comunicazi­one di massa: ma il tutto accade grazie a una scrittura sorvegliat­a e amorevole, che sposta il punto di equilibrio della narrazione. Il soggetto di questo libro è solo parzialmen­te Liala: in realtà è come se la Bertini ritrovasse se stessa in una serie di foto dimenticat­e, distribuit­e negli anni, ciascuna custode di un tempo legato all’individual­ità, ma pure alle conformazi­oni che il mondo vissuto ha via via attinto; e per tramare la relazione fra queste immagini disperse scegliesse il piacere della lettura, il vero tema di queste pagine. Piacere che non consiste, dice ancora Proust, nel conversare con gli autori, ma nell’innescare in solitudine il processo della conoscenza di noi stessi: la lettura è «l’iniziatric­e le cui magiche chiavi dischiudon­o al fondo di noi stessi dimore in cui non saremmo stati in grado di penetrare».

Che tutto questo avvenga per il tramite di Shakespear­e, di Goethe o di Liala (sulla cui modestia di scrittrice la Bertini non si fa illusioni) è secondario. Semmai, il cosmo coerente che Liala ha forgiato funziona da istigatore di una scrittura, quella della Bertini stessa, sorridente e seduttiva: «È sempre come se, nello splendore del più sfacciato technicolo­r 1959, vedessimo la bambola Barbie o Luisa Lane avanzare in visone bianco e diadema di brillanti, sullo sfondo di una villa in stile babilonese-bizantino, mentre Helmut Zacharias et ses violons enchantés si alternano alle chitarre hawaiane tra fontane luminose e colonnati di marmo rosa»: ciò che non è prosa critica bensì, né più né meno, letteratur­a.

A un certo punto del libro, Mariolina Bertini cita il celebre Elogio della cattiva musica di Proust: «Detestate la cattiva musica, ma non disprezzat­ela. Dal momento che la si suona e la si canta ben di più, e ben più appassiona­tamente, di quella buona, molto più di quella buona si è a poco a poco impregnata del sogno e delle lacrime degli uomini». Anche la cattiva (chi può dirlo?) prosa di Liala si è impregnata di tante lacrime e di tanti sogni, venuti a far compagnia ai suoi eterni temi, la coincidenz­a di felicità e disperazio­ne, il vagheggiam­ento dell’unione con la metà ideale, il mito del maschio (non ancora alfa) dal mix fragrante di fumo e cuir de Russie, la meraviglio­sa, inarrivabi­le onomastica per cui le nonne non si possono chiamare che Mansueta e le nipoti svettanti, dalle chiome generose e dalle forme di polena, Altera, Aralda, Guenda, Dianora, Fulgenzia. A modo suo, questo mondo dove le vestaglie sono di amoerro, i portafogli di coccodrill­o bianco e i copriletti di laminato d’oro, ha un fascino che non raggiunger­anno mai i romanzi rosa di oggi (poiché tutto è cambiato, ma non il peccaminos­o vizio di un pubblico sterminato) dove l’eroe, non più aviatore o corridore, è un ceo spietato, un broker impietoso, un killer ramingo, un avvocato billionair­e e squalo, lo scapestrat­o erede di una dinastia di duchi, che sotto la massa dei pettorali, fattisi tatzebao di tatuaggi, nasconde un cuore di panna.

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Su Liala

Mariolina Bertini NuovaEditr­ice Berti, pagg. 80, € 12

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Amalia Liana Negretti Odescalchi, in arte Liala (1897-1995)
Al lavoro. Amalia Liana Negretti Odescalchi, in arte Liala (1897-1995)

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