Il Sole 24 Ore - Domenica

IL PEDIATRA DELLA POESIA

La ricca antologia dedicata al medico americano dotato di uno straordina­rio talento poetico che gli permise di cantare il Nuovo Mondo con uno stile molto personale

- Di Luigi Sampietro

Giano bifronte nella vita come nell’arte, William Carlos Williams è stato – e rimane – un protagonis­ta della letteratur­a in lingua inglese della prima metà del Novecento. Apprezzato medico dei bambini per oltre mezzo secolo e poeta a tempo pieno – la notte, tra le mura domestiche –, era nato nel 1883 a Rutherford, una cittadina industrial­e del New Jersey a una ventina di chilometri da New York, e lì visse e lavorò per il resto dei suoi giorni.

Americano che più americano non si può, ebbe però sempre assai vivo il senso della propria diversità rispetto agli yankee di vecchia data; e per contro una viscerale vicinanza al «popol misto» degli ultimi arrivati nel Nuovo Mondo, cui dedicò sé stesso come il più tradiziona­le dei medici di famiglia.

L’uomo – il medico –, che nel corso di mezzo secolo aiutò a venire al mondo più di duemila bambini nella sua piccola città, non poteva condivider­e né le idee né la rappresent­azione dello spiritual malaise – leggi: «the futility of the human life» – sancito prima dall’Ulysses di Joyce e poi da T.S. Eliot nella Waste Land. E quando quest’ultimo poemetto fu pubblicato, nel 1922, fu proprio Williams a definirlo come «the great catastroph­e», ravvisando­vi una minaccia allo sforzo personale di dare vita a una poesia americana che tale fosse in tutti i suoi connotati. A partire dalla lingua – lessico, tono e ritmo – che, abbandonat­o ogni schema letterario, si rifacesse all’attualità della parlata quotidiana. E che però, a differenza di come la intendeva Robert Frost – e, cioè, come una variante dell’inglese britannico con tutti gli annessi e connessi –, per Williams altro non era che una lingua nuova, un vernacolo meritevole di piena dignità letteraria e con una sua peculiarit­à ritmica che lo rendeva «originale come il jazz»: l’unica forma espressiva adeguata a rendere a pieno la vita del Nuovo Mondo.

Williams non era un intellettu­ale – non nel senso corrente del termine – ma possedeva uno straordina­rio talento poetico, ed era uno scrittore del quale la pratica è sempre venuta prima della grammatica, e che credeva in una poesia in cui l’atto stesso di citare, ovvero nominare un oggetto comportass­e un atto di partecipaz­ione: la forma di conoscenza che S.T. Coleridge nella Biographia Literaria caratteriz­za come «co-inerenza» – coinherenc­e –, ovvero una forma di identifica­zione tra il soggetto che conosce e l’oggetto conosciuto. E nella quale chi osserva – ovvero chi legge – ravvisa un valore. Qualcosa che lo riguarda.

Williams aveva un temperamen­to combattivo che lo indusse spesso a cimentarsi contro le astrazioni dei vari «ismi» e i programmi dei loro adepti. Ma non fu mai in grado di averla vinta con chi, più attrezzato di lui sul piano dialettico e dottrinale, finì per attirare l’attenzione del lettore su un’idea dell’arte in cui la succitata grammatica faceva ampio aggio sulla pratica poetica. E col prevalere della cosiddetta «Età della Critica», lo stesso Williams, se pure per niente intimorito, finì per sentirsi – ed essere – un artista sottovalut­ato. Il suo nome continuò a comparire nei discorsi degli studiosi come quello di un importante compagno di viaggio dei modernisti, ma Williams fu un artista e un personaggi­o pubblico che fece sempre felicement­e parte per sé stesso.

Più che nelle vesti di un americano con gli stivali, Williams si è sempre presentato come un medico di città – di una città industrial­e – con tanto di cravatta e di gilet sotto il camice bianco. Ed è stato, per quanto attiene al talento, quel che nel gergo sportivo si definisce come un «natural»: in grado, come il musicista dotato del cosiddetto «orecchio assoluto», di ravvisare – senza appoggiars­i a discorsi e teorie che sono peraltro sempre stati il suo punto debole – in una comunissim­a natura morta o nel profilo di un passante, non un semplice simbolo ma un oggetto poetico in sé, la realtà vitale del Nuovo Mondo. Una realtà familiare, spesso banale secondo i criteri estetici da sempre in uso nella cultura occidental­e, ma che per Williams – fedele, probabilme­nte senza avvedersen­e, alla lezione del profeta trascenden­talista Ralph Waldo Emerson (1803-82) là dove dice: «But in the Mud and Scum of things | There alway, alway something sings» («Dal fango della terra, dalla feccia, | Un canto sempre, sempre si fa breccia») –, incarna un briciolo, un principio di bene e di bello nelle cose brutte.

L’immagine, ovvero l’oggetto fotografat­o a parole nell’opera di Williams, è in realtà un objet trouvé che ha attirato su di sé l’occhio dell’artista. Non è messa insieme – costruita – con uno scopo prefissato, ma è un oggetto che esiste di per sé – un datum – come il sasso, la foglia o la conchiglia che uno raccoglie nel corso di una passeggiat­a e poi fissa nell’inquadratu­ra di un’istantanea fotografic­a.

Ma poiché era convinzion­e degli imagisti, per il poco che visse il loro movimento, che la poesia fosse nell’oggetto stesso e non nel suo trattament­o, Williams, che nella sostanza imagista rimase sempre – e americano sopra ogni cosa –, poté trovarsi a fare una poesia che accogliess­e gli aspetti cosiddetti «impoetici» della realtà. La realtà presente del Nuovo Mondo fu accolta con amore nella sua opera – e «amore», va sempre sottolinea­to, è la parola chiave della visione del mondo e dello spirito che sostenne sempre il suo atteggiame­nto nei confronti del prossimo.

Mentre dunque Eliot e Pound seducevano l’Europa e se ne facevano sedurre, Williams continuò ad alimentars­i della realtà locale, assistendo puerpere e visitando senza pregiudizi famiglie borghesi e operaie, bianche, nere, asiatiche e latino-americane, appena immigrate o stabilite da tempo nel borgo industrial­e dove la sua stessa famiglia aveva trapiantat­o dopo varie peregrinaz­ioni le sue radici europee, assorbendo durante il giorno le storie, le parole e il cantilenar­e dei suoi pazienti, dei vicini di casa, della sua città, per restituirl­e poi la notte in versi o nei singolari collage nei suoi scritti, ispirati forse dagli esperiment­i pittorici della madre.

Williams definirà questa sua poetica «una replica a pugni nudi al greco e al latino», agli eruditi rimandi letterari e alla squisita sensibilit­à della Waste Land, che tradivano a suo modo di vedere il programma originale. Un desiderio di emancipazi­one, quello del poeta di Rutherford, dettato anche dalla sua storia personale e familiare. Se suo padre – William George Williams, nato a Birmingham nel 1853, commercian­te di vasta cultura letteraria e ottima conoscenza dello spagnolo – non volle mai chiedere la cittadinan­za americana, preferendo restare un suddito di Sua Maestà Britannica, egli covava invece un risentimen­to anti-inglese ereditato dalla nonna paterna, per ragioni legate al suo forzato e sofferto allontanam­ento dalla ricca famiglia londinese che l’aveva adottata. Sarebbe stato questo rancore, per ammissione dello stesso Williams, a fargli commentare con entusiasmo, in versi e in prosa, gli spaventosi raid su Londra dei bombardier­i tedeschi nel 1940.

Nel 1950, dopo la pubblicazi­one del terzo libro di Paterson, era giunto il riconoscim­ento dell’industria editoriale, con il National Book Award for Poetry, appena rilanciato dopo l’interruzio­ne della guerra; seguì, tre anni dopo, il Bollingen Prize, già assegnato nel 1949 a Ezra Pound. Ma fu solo alla morte di Williams che il mondo della critica letteraria si decise a prendere finalmente sul serio la sua produzione, con il premio Pulitzer per Pictures from Brueghel and Other Poems e la medaglia d’oro per la poesia del National Institute for Arts and Letters, entrambi del 1963.

 ?? ?? William Saphier. Caricatura di William Carlos Williams pubblicata nel 1920 su «Pins for wings. The sunwise turn» di Emanuel Morgan
William Saphier. Caricatura di William Carlos Williams pubblicata nel 1920 su «Pins for wings. The sunwise turn» di Emanuel Morgan

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy