LA CRITICA SCRITTA COME UN ROMANZO
«L’umanità è un tirocinio» raccoglie saggi su lettura e scrittura in grado di dare ad accademici e critici militanti autentiche lezioni di economia narrativa
Raccolta di saggi brevi, articoli per la stampa, introduzioni, postfazioni a tema letterario: un genere editoriale rischiosissimo da maneggiare, perché a forte rischio di frammentarietà e noia. Genere, o sottogenere, da età d’oro della critica letteraria, quindi tipicamente novecentesco se il Novecento, il secondo forse anche più del primo, è stata la grande stagione della critica. Ma appunto; nel nuovo secolo, che è il nostro secolo, la saggistica è diventata per l’editoria il lupo cattivo; se resta ancora un po’ di spazio per le monografie compatte e esaustive, le raccolte di interventi sparsi di critici contemporanei i grandi editori non le pubblicano quasi più – restano prerogativa di pochi marchi coraggiosi che insistono a rendere udibili le poche voci autorevoli che di sicuro hanno lasciato o lasceranno un segno. Penso ad esempio, per restare agli ultimi mesi dell’anno appena trascorso, e a una stessa fortunata generazione di saggisti, alla raccolta degli scritti di Francesco Orlando su Proust (In principio Marcel Proust, nottetempo), e a quelli Pier Vincenzo Mengaldo su Vittorio Sereni (Per Vittorio Sereni, Quodlibet); o, in ambito di critica più militante, all’antologia dedicata a Goffredo Fofi (Son nato scemo e morirò cretino, minimum fax), e ai due volumoni che condensano il lavoro giornalistico di Alfonso Berardinelli (Giornalismo culturale e Un secolo dentro l’altro, entrambi per il Saggiatore).
Fresco di stampa, percorre una strada diversa L’umanità è un tirocinio, il libro in cui Domenico Starnone ha raccolto alcuni degli interventi su lettura e scrittura, propria e altrui, elaborati in quarant’anni di attività critica. Lo ha fatto non solo da saggista vero e brillante - quale si rivela in non pochi dei circa venticinque “pezzi” che il volume ci propone - ma anche da scrittore di razza, dando in questo senso a molti critici puri (accademici o militanti che siano) una lezione di economia narrativa, organizzazione formale e senso del limite. Per prima cosa infatti Starnone ha sfrondato severamente la sua produzione, scegliendo testi non solo validi in sé, e resistenti al tempo e alle mode culturali, ma anche funzionali alla “figura” di significato che il libro vuole disegnare nel suo complesso. Dopo averli scelti, Starnone ne ha scompaginato la successione meramente cronologica, ordinandoli secondo una logica peculiare, narrativa appunto, che è quella della fiction («i fatti spiccioli diventano racconto solo quando perdono la loro natura occasionale e si dispongono artificialmente in una prospettiva, dentro il percorso da un incipit a una fine»). Per cui L’umanità è un tirocinio può a buon diritto essere pubblicato da Einaudi in una collana come gli «Struzzi», dedicata a generi diversi, spesso all’incrocio tra narrativa e saggismo.
Cosa racconta Starnone in questo libro, e come? Racconta, sostanzialmente, la sua storia, formazione e vocazione di scrittore. Che è in buona parte, come spesso accade, la storia di un lettore; perché «umani si diventa», anche e soprattutto leggendo, in un tirocinio dall’esito sempre incerto e non privo di ripensamenti e fallimenti. Chi conosce i romanzi di Starnone avrà quindi il piacere di intravederne in filigrana la presenza, o in qualche caso la genesi (il litigio notturno tra il padre e la madre che è alla base di Via Gemito, il napoletano inciso nella voce come lingua della violenza e della miseria contrapposto all’italiano dei libri, che è la lingua della promozione sociale e del senso di colpa; la metamorfosi dei meri, onesti fatti in «fatterelli», cioè in fiction, tanto più interessante quanto più menzognera; il gatto di un racconto di Hemingway che forse ha qualcosa a che fare con quello di Lacci…). Analogamente chi ama lo stile di Starnone ne ritroverà qualcosa nel modo in cui qui legge i libri degli altri. Valorizzando, ad esempio, di Meneghello, la voce incatalogabile, paragonata a quella del Fellini di 8 e mezzo; del pavesiano Mestiere di vivere, l’angoscia della scissione di fronte all’altro sesso; di Federigo Tozzi da un lato il senso della «labilità» dei personaggi, dall’altro l’incedere «a strappi, a balzi» (perché «i vuoti fanno bene, la buona scrittura sa trarre calore e fulgore proprio dai suoi buchi, come il tegame delle caldarroste»).
Ma soprattutto il lettore competente potrà apprezzare le intelligenti e talvolta geniali incursioni in alcuni grandi libri della tradizione italiana e occidentale. Se non stupisce vedere l’autore di Ex cattedra decostruire Cuore di De Amicis, e farne una specie di non fiction novel a tema scolastico («tutta la struttura del libro tendeva a rafforzare l’effetto di verità… leggendo, ero assolutamente sicuro che fosse stato proprio Enrico a scrivere il diario»), arriva meno attesa una assai convincente lettura freudiana dell’Ortis, in cui è l’ombra del modello del giovane Werther a indurre l’eroe foscoliano a dichiarare ossessivamente la propria indipendenza dai libri. Ma il punto è che Starnone non solo si mostra capace di osservazioni critiche penetranti («Cuore è scritto da un Padre, da un Figlio e da un Maestro, ma è ossessionato dalla Madre»); riesce anche a fonderle in una convincente e densa struttura narrativa, grazie a una organizzazione che ricorda quella che nella poesia provenzale si chiama “a coblas capfinidas”: ogni capitolo è legato al successivo o a quello ancora dopo dall’iterazione o ripresa di uno o più concetti e parole chiave. Così certe letture contigue si fanno compagnia e rispuntano a distanza in altre diversissime letture. L’umanità è un tirocinio può quindi essere letto come un altro racconto di Starnone, fatto di ritratti che compongono un autoritratto; un libro “parallelo” agli altri suoi, che li porta a coscienza e li illumina, essendo da loro a propria volta illuminato.
L’umanità è un tirocinio
Domenico Starnone Einaudi, pagg. 312, € 18