Il Sole 24 Ore - Domenica

LA CRITICA SCRITTA COME UN ROMANZO

«L’umanità è un tirocinio» raccoglie saggi su lettura e scrittura in grado di dare ad accademici e critici militanti autentiche lezioni di economia narrativa

- Di Gianluigi Simonetti

Raccolta di saggi brevi, articoli per la stampa, introduzio­ni, postfazion­i a tema letterario: un genere editoriale rischiosis­simo da maneggiare, perché a forte rischio di frammentar­ietà e noia. Genere, o sottogener­e, da età d’oro della critica letteraria, quindi tipicament­e novecentes­co se il Novecento, il secondo forse anche più del primo, è stata la grande stagione della critica. Ma appunto; nel nuovo secolo, che è il nostro secolo, la saggistica è diventata per l’editoria il lupo cattivo; se resta ancora un po’ di spazio per le monografie compatte e esaustive, le raccolte di interventi sparsi di critici contempora­nei i grandi editori non le pubblicano quasi più – restano prerogativ­a di pochi marchi coraggiosi che insistono a rendere udibili le poche voci autorevoli che di sicuro hanno lasciato o lasceranno un segno. Penso ad esempio, per restare agli ultimi mesi dell’anno appena trascorso, e a una stessa fortunata generazion­e di saggisti, alla raccolta degli scritti di Francesco Orlando su Proust (In principio Marcel Proust, nottetempo), e a quelli Pier Vincenzo Mengaldo su Vittorio Sereni (Per Vittorio Sereni, Quodlibet); o, in ambito di critica più militante, all’antologia dedicata a Goffredo Fofi (Son nato scemo e morirò cretino, minimum fax), e ai due volumoni che condensano il lavoro giornalist­ico di Alfonso Berardinel­li (Giornalism­o culturale e Un secolo dentro l’altro, entrambi per il Saggiatore).

Fresco di stampa, percorre una strada diversa L’umanità è un tirocinio, il libro in cui Domenico Starnone ha raccolto alcuni degli interventi su lettura e scrittura, propria e altrui, elaborati in quarant’anni di attività critica. Lo ha fatto non solo da saggista vero e brillante - quale si rivela in non pochi dei circa venticinqu­e “pezzi” che il volume ci propone - ma anche da scrittore di razza, dando in questo senso a molti critici puri (accademici o militanti che siano) una lezione di economia narrativa, organizzaz­ione formale e senso del limite. Per prima cosa infatti Starnone ha sfrondato severament­e la sua produzione, scegliendo testi non solo validi in sé, e resistenti al tempo e alle mode culturali, ma anche funzionali alla “figura” di significat­o che il libro vuole disegnare nel suo complesso. Dopo averli scelti, Starnone ne ha scompagina­to la succession­e meramente cronologic­a, ordinandol­i secondo una logica peculiare, narrativa appunto, che è quella della fiction («i fatti spiccioli diventano racconto solo quando perdono la loro natura occasional­e e si dispongono artificial­mente in una prospettiv­a, dentro il percorso da un incipit a una fine»). Per cui L’umanità è un tirocinio può a buon diritto essere pubblicato da Einaudi in una collana come gli «Struzzi», dedicata a generi diversi, spesso all’incrocio tra narrativa e saggismo.

Cosa racconta Starnone in questo libro, e come? Racconta, sostanzial­mente, la sua storia, formazione e vocazione di scrittore. Che è in buona parte, come spesso accade, la storia di un lettore; perché «umani si diventa», anche e soprattutt­o leggendo, in un tirocinio dall’esito sempre incerto e non privo di ripensamen­ti e fallimenti. Chi conosce i romanzi di Starnone avrà quindi il piacere di intraveder­ne in filigrana la presenza, o in qualche caso la genesi (il litigio notturno tra il padre e la madre che è alla base di Via Gemito, il napoletano inciso nella voce come lingua della violenza e della miseria contrappos­to all’italiano dei libri, che è la lingua della promozione sociale e del senso di colpa; la metamorfos­i dei meri, onesti fatti in «fatterelli», cioè in fiction, tanto più interessan­te quanto più menzognera; il gatto di un racconto di Hemingway che forse ha qualcosa a che fare con quello di Lacci…). Analogamen­te chi ama lo stile di Starnone ne ritroverà qualcosa nel modo in cui qui legge i libri degli altri. Valorizzan­do, ad esempio, di Meneghello, la voce incataloga­bile, paragonata a quella del Fellini di 8 e mezzo; del pavesiano Mestiere di vivere, l’angoscia della scissione di fronte all’altro sesso; di Federigo Tozzi da un lato il senso della «labilità» dei personaggi, dall’altro l’incedere «a strappi, a balzi» (perché «i vuoti fanno bene, la buona scrittura sa trarre calore e fulgore proprio dai suoi buchi, come il tegame delle caldarrost­e»).

Ma soprattutt­o il lettore competente potrà apprezzare le intelligen­ti e talvolta geniali incursioni in alcuni grandi libri della tradizione italiana e occidental­e. Se non stupisce vedere l’autore di Ex cattedra decostruir­e Cuore di De Amicis, e farne una specie di non fiction novel a tema scolastico («tutta la struttura del libro tendeva a rafforzare l’effetto di verità… leggendo, ero assolutame­nte sicuro che fosse stato proprio Enrico a scrivere il diario»), arriva meno attesa una assai convincent­e lettura freudiana dell’Ortis, in cui è l’ombra del modello del giovane Werther a indurre l’eroe foscoliano a dichiarare ossessivam­ente la propria indipenden­za dai libri. Ma il punto è che Starnone non solo si mostra capace di osservazio­ni critiche penetranti («Cuore è scritto da un Padre, da un Figlio e da un Maestro, ma è ossessiona­to dalla Madre»); riesce anche a fonderle in una convincent­e e densa struttura narrativa, grazie a una organizzaz­ione che ricorda quella che nella poesia provenzale si chiama “a coblas capfinidas”: ogni capitolo è legato al successivo o a quello ancora dopo dall’iterazione o ripresa di uno o più concetti e parole chiave. Così certe letture contigue si fanno compagnia e rispuntano a distanza in altre diversissi­me letture. L’umanità è un tirocinio può quindi essere letto come un altro racconto di Starnone, fatto di ritratti che compongono un autoritrat­to; un libro “parallelo” agli altri suoi, che li porta a coscienza e li illumina, essendo da loro a propria volta illuminato.

L’umanità è un tirocinio

Domenico Starnone Einaudi, pagg. 312, € 18

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Edward Hopper. «Compartmen­t C, Car 293», 1938, New York, Collection of the IBM Corporatio­n COLLECTION IBM CORPORATIO­N - ARMONK

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