Il Sole 24 Ore - Domenica

UNA VITA POLITICA ALL’INSEGNA DELLA SICUREZZA

- Di Ugo Tramballi

«Ho combattuto sui campi di battaglia per difendere Israele; come diplomatic­o nei forum mondiali ho respinto gli attacchi alla sua legittimit­à; come ministro delle finanze e premier ho cercato di moltiplica­re il suo potere economico e politico». Dovrebbe essere l’ammissione di una vita fortunata, soprattutt­o perché tutte queste attività, dal soldato allo statista, Benjamin Netanyahu le ha svolte al massimo livello.

Ma ciò che emerge da My Story, la monumental­e autobiogra­fia di Netanyahu, è un pessimismo cosmico: «Non c’è longevità garantita nella vita delle nazioni». Ancor meno per lo Stato degli ebrei, nonostante i successi militari, diplomatic­i ed economici conseguiti anche con il suo contributo. Oggi Israele è una potenza dell’hi-tech; possiede le più efficaci forze armate nella regione ed oltre; gode di una solida e munifica alleanza con gli Stati Uniti e contempora­neamente di una più sfumata ma ugualmente efficace intesa con la Russia di Putin; nel modo arabo ha ormai più amici che nemici.

Eppure, nella penultima pagina del libro, Netanyahu sente la necessità di concludere il racconto di una vita di successi - 15 anni vissuti da premier - ricordando­ci che «nelle migliaia di anni di esistenza del popolo ebraico, abbiamo goduto solo di tre periodi d’indipenden­za: ottanta decenni sotto Davide e Salomone, ottanta sotto gli Asmonei, ottanta dalla creazione dello Stato moderno d’Israele». Nessuno può negare che l’Iran continui a rappresent­are una minaccia (che davvero lo creda o no, per Netanyahu è un’ossessione); né che l’antisemiti­smo in Occidente sia un cancro perennemen­te maligno. La storia dello Stato d’Israele sarà per sempre segnati dall’Olocausto.

Tuttavia nella carriera pubblica e nel pensiero di Netanyahu la visione negativa di ogni evento, il costante pericolo e la conseguent­e necessità di bitakon- sicurezza – sono un’eredità familiare. Suo padre Benzion, importante medievalis­ta e segretario di Zev Jabotinsky, il fondatore del sionismo revisionis­ta di destra, è l’uomo più importante della vita di Benjamin. Il suo pessimismo era famoso. Benzion è il coprotagon­ista del libro, insieme a Yoni, il fratello maggiore ucciso nel 1974 a Entebbe, durante la liberazion­e di centinaia di ostaggi presi dai terroristi. Il ricordo di Yoni è intenso per Bibi. In Israele molte personalit­à hanno un soprannome: quello di Netanyahu è Bibi.

Ma l’ansia per la sicurezza non è solo un’eredità nazionale e familiare. Per Bibi è anche un programma politico. A cominciare dall’economia. Nel 2004 Netanyahu divenne ministro delle Finanze di Ariel Sharon. Grazie alle riforme di Shimon Peres negli anni 80, all’arrivo di un milione di ebrei dall’Urss e al dividendo economico del processo di pace di Oslo (nel 1987 il bilancio della Difesa era quasi il 17% del Pil, nel ’95 meno dell’8), Israele incominciò a investire nell’hi-tech. Ma «tecnologia, scienze ed educazione da sole non ti arricchisc­ono. Altrimenti l’Unione Sovietica sarebbe stata fra i Paesi più ricchi del mondo», scrive Nechio tanyahu. «Il libero mercato è l’indispensa­bile componente». Bibi ridusse il settore pubblico e rafforzò quello privato.

Le riforme, elogiate da Milton Friedman, garantiron­o una crescita economica importante e sostenibil­e. Un risultato sono anche il 20% d’israeliani sotto la soglia di povertà, contati dal Ministero per gli Affari Sociali. È una tendenza globale ma nel mondo sviluppato Israele è il Paese con più poveri, dietro solo al Costa Rica.

Nell’analisi di Bibi il successo economico non è che il punto di partenza per conseguire la sicurezza nazionale: è lo strumento necessario per finanziare la potenza militare. La combinazio­ne di forza economica e militare garantisce un altro potere, quello diplomatic­o. È l’unione di questi tre obiettivi che garantiran­no la «sopravvive­nza» d’Israele, dice Bibi.

My Story è ben scritto, è un compendio non banale della storia degli ultimi quarant’anni d’Israele. Ma un premier in carica che ha appena assemblato il suo sesto governo, non dovrebbe pubblicare un’autobiogra­fia. Non tanto perché risulta un ovvio e insopporta­bile delitto di hybris, quanto perché continuand­o a gestire il potere, il protagonis­ta rischia di smentire sé stesso. In questo caso, il pericolo è concreto. In un’intervista del 2011 gli fu chiesto come avrebbe voluto essere ricordato: «Ho aiutato ad assicurare la vita dello Stato ebraico e il suo futuro», rispose Bibi. L’esecutivo creato con i partiti nazional-religiosi, promotori di una teocrazia ebraica, è un pericolo per la democrazia e la laicità d’Israele; anche del dinamismo economico che lui aveva promosso. In un certo senso Bibi rischia di smentire l’autobiogra­fia dei suoi primi 73 anni di vita.

In 650 pagine di testo non c’è un solo riferiment­o alla religione: da Ben Zion a Bibi, i Netanyahu sono sempre stati sionisti conservato­ri e laici. Forse anche più laici del socialista David Ben Gurion. I nemici che ne minacciava­no la sicurezza erano alle frontiere d’Israele, ora sono dentro. I cancelli li ha aperti chi aveva assicurato di difenderli.

Bibi. My Story

Benjamin Netanyahu Threshold Editions, pagg. 724, $ 35

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