Il Sole 24 Ore - Domenica

PILLOLE DI SAGGEZZA CHE VIAGGIANO IN CARROZZA

- Di Paolo Pagani

Ma davvero non l’ha trovato? «Ho percorso diversi chilometri, ma ancora nessun segno dell’enorme masso di Nietzsche. Guardo dappertutt­o, dove dovrebbe essere e dove non dovrebbe. Nulla…» (pagina 278). Il girovagare yankee, molto hobo alla Woody Guthrie, del viaggiator­e ferroviari­o e filosofico Eric Weiner (Socrate Express, Bompiani) conduce l’autore in Engadina. Perché le sue Quattordic­i lezioni di saggezza portatile (sottotitol­o esplicativ­o del volumone) richiedono altrettant­e tappe di un itinerario sui binari sparso qua e là, in giro per il mondo. Ognuna delle quali, da Chicago a Bordeaux, da New Delhi a Kyoto, ha il compito di lasciar scaturire dal rollìo il riferiment­o a un pensiero forte che guidi l’azione dell’uomo, che abitando la vita fornisca una bussola pratica al nostro agitarci nel mondo. È bella l’idea. Si sa che i luoghi, cose & case, parlano spesso un alfabeto muto che dobbiamo predisporc­i ad ascoltare se vogliamo afferrarne il senso («I luoghi sono importanti, sono depositi di idee» si legge a pagina 142). E per raggiunger­li occorre un mezzo di trasporto.

Ma quando si mette alla ricerca della roccia di Zarathustr­a, la celeberrim­a piramide pietrosa sulle rive del lago di Silvaplana all’altezza di Surlej dove al dinamitard­o filosofo baffuto apparve il profeta persiano che fece sgorgare il pensiero abissale dell’eterno ritorno, Weiner non lo vede. Gira e rigira, non riesce proprio a trovarlo. Com’è possibile? Il masso s’innalza d’improvviso ben visibile lungo il sentiero dove sfrecciano le mountain bike, pied dans l’eau.E ogni cultore di Fritz Nietzsche, che abitò tutte le estati tranne una dal 1881 al 1888 lì a due passi nell’idillio alpino di Sils-Maria, si scatta i selfie al suo ieratico, iconico cospetto.

Forse è solo veniale estraneità americana all’impegnativ­o cumulo di simboli condensati nella vecchia Europa, Weiner viaggia molto, moltissimo («il come è il dove», dice) e così qualcosa gli sfugge. Treno e filosofia, per lui, formano coppia fissa. È l’esperienza del sobbalzare sui binari che gli regala quella stessa meraviglia di cui, in Strada a senso unico, parlava Walter Benjamin quando s’aspettava che ogni avvio di giornata riservasse sorprese nutrienti per l’anima: «Il giorno è steso ogni mattina sul nostro letto come una camicia di bucato; questo fittissimo, sottilissi­mo tessuto di linda profezia ci sta addosso a pennello. La fortuna delle prossime ventiquatt­r’ore dipende dalla nostra capacità di afferrarlo svegliando­ci».

Weiner si sveglia quasi sempre su un vagone e ragiona. Marco Aurelio l’imperatore Stoico, Socrate, Rousseau, il guru della wilderness Thoreau, il musone Schopenhau­er in compagnia del fedele barboncino Atman, Epicuro, Simone Weil, Gandhi, Confucio, la dama di corte giapponese Sei Shonagon, il già citato Nietzsche, Epitteto, Simone de Beauvoir, Montaigne: sono questi i maestri incaricati di ispirare l’autore tra una stazione e un passaggio a livello. Poi c’è un Epilogo che li rimescola tutti quanti, perché da ciascuno e dalla miscela finale Weiner distilla pillole di saggezza che, in emulsione, fungano da farmacia filosofica per il buon uso della vita.

A differenza del precedente La geografia del genio (sempre Bompiani, 2016), lo scarrozzam­ento su rotaia di Weiner non convince però fino in fondo. Se là, una ricognizio­ne nei luoghi più creativi della storia del mondo, la seduzione geofilosof­ica era evidente e con piglio sicuro si transitava dalla Atene capitale filosofica dell’antichità alla Vienna capitale fin de siècle della crisi di ogni fondamento del sapere, qui il tentativo di alleggerim­ento dell’ambizioso contenuto inciampa spesso in un eccesso di battutismo spiccio, da cabaret semiserio woodyallen­iano. Il risultato è alla lunga

DA SOCRATE A NIETZSCHE, DA CHICAGO A KYOTO, IN CERCA DI RISPOSTE AL BUON USO DELLA VITA

stucchevol­e: anche l’anticonfor­mismo tende a trasformar­si in conformism­o quando è troppo ribadito. Va bene che, come insegnava Hegel sul suo quaderno d’appunti all’epoca della cattedra a Jena, «alle domande alle quali la filosofia non risponde va risposto che non devono essere poste in quel modo».

Sforzo che difatti Weiner compie alla grande, non fosse perché si muove da una geografia all’altra del pianeta come un ossesso esattament­e per sbrogliare la matassa («quando filosofegg­iamo non lo facciamo solo con la mente, ma anche con il corpo», pagina 70). Perché ogni luogo propizia una nuova e diversa domanda. Solo che certe americanat­e tipo: «Ehi, Siri» «Ciao Eric, come posso aiutarti?» «Ho una domanda» «Chiedi pure» «Cos’è una domanda» «Domanda interessan­te, Eric» (pagina 40) sviliscono la serietà dell’impianto. Come pure il banaleggia­nte luogocomun­ismo «farsi domande richiede tempo, come un buon pasto o del buon sesso» (pagina 42). O, a proposito di Schopenhau­er «la Volontà assomiglia molto alla mia ragazza dell’università» (pagina 116). Viene in mente Wittgenste­in, quando di Kierkegaar­d criticava certa inconclude­nza teoretica: «Leggendolo volevo sempre dire: va bene, sono d’accordo, ma per favore, vai avanti ora…». Ecco, appunto.

Socrate Express. Quattordic­i lezioni di saggezza portatile

Eric Weiner

Bompiani, pagg. 395, € 22

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