NARRAZIONI COLORATE DI IRONIA E SOFFERENZA
Una mostra a Istanbul e le collezioni di Porto e Cascais celebrano l’artista anglo-portoghese dalle tele drammatiche che ci ha insegnato anche a cavalcare le fiabe senza farsi sopraffare
Sarà il semplice gusto del chiacchierare, che da sempre ruba il tempo alle donne: certamente una caratteristica dell’arte femminile è quella di proporsi come narrazione. O almeno è quanto viene da pensare in seguito a un giro di mostre dedicate alla pittrice portoghese Paula Rego (1935-2022), che, appena dopo la sua morte, ha avuto un crescendo di attenzioni con omaggi alla Biennale di Venezia, alla Tate Britain di Londra (ora al museo Pera di Istanbul) e in molte sedi portoghesi tra cui il centro Serralves di Porto.
Sorriso irregolare e forte, sguardo scuro di depressione o pieno di vita, una nomina a Dame dell’impero britannico, un paio di prestigiosi riconoscimenti a Cambridge e Oxford: questo e altro le hanno portato le sue tante opere complesse, dai quadri a olio, ad acrilico o pastello alle incisioni, ai collage e alle sculture di plastica. Tutte le tipologie dialogano con la pittura antica pur trasportandosi spesso su altri registri di racconto: folklore, pornografia, religione, sogni dove il tempo si arrotola su se stesso. Paula Rego è un fascio di contraddizioni esistenziali, forse, che il mondo dell’arte ha iniziato ad amare soprattutto nei tardi anni 80. Ci riconosciamo nella sua sofferenza, nella sua ironia e nel suo talento nel raccontarci di noi.
Nata nel 1935 a Lisbona, scappata in Inghilterra a causa della dittatura di Salazar ma sempre in un vivace scambio con il Paese d’origine, aveva studiato a Londra frequentando il surrealismo di Miró e l’informale di Dubuffet, ma anche alcuni dei giovani più inquieti della città: Francis Bacon, da cui trasse un’inclinazione per le figure che si contorcono dalla fisicità spesso impudica; David Hockney, la testa bionda di una rivoluzione omosessuale allegra ma provocatoria; Lucian Freud, l’erede dello scavo interiore dello zio Sigmund.
A Porto, il Centro Serralves le sta dedicando l’esposizione di una serie di ritratti dalla sconvolgente emotività, in cui una donna in preda a contorcimenti si arrovella su di un divano distruggendolo: è la serie di quadri Possessione (2004). L’esposizione è resa ancora più significativa quando la si confronti con due altre mostre ospitate nello stesso centro: una retrospettiva in cui compare la galleria di personaggi-autoritratti creata dagli anni 80 dall’americana Cindy Sherman, nella quale si alternano modi di essere che vanno dall’eroina hitchcockiana alla Madonna del Latte, dal clown alla collezionista dopo il lifting, e il film girato a San Paolo da Rivane Neuenschwander e Mariana Lacerda, in cui viene ritratta una parata di travestimenti allegorici e cartelli in favore dell’ambiente. È difficile non riconoscere oggi, in simili allegorie centrate sul femminile e sull’impegno, almeno un poco della riflessione sull’io e del coraggio di Paula Rego.
Paula, infatti, non è sempre stata al centro dell’attenzione, come si conveniva a una donna che, pure, aveva partecipato alle iniziative dell’Institute for Contemporary Art di Londra già negli anni 70. Innanzitutto, era una donna in tempi in cui questo non era un vantaggio; era anche profondamente coinvolta con la fortunata massima «Il personale è politico», coniata da Carol Hanisch della seconda ondata femminista; Marina Warner, studiosa di Leonora Carrington, e quella Germaine Greer che scrisse il famoso saggio L’eunuco femmina, sono state altre sue maestre di sincerità riguardo al suo stesso vissuto: aborti, stupri sotto forma di amanti indesiderati, tradimenti, l’alcolismo e la sclerosi multipla dell’amato compagno funestarono la sua vicenda, illuminata peraltro da tre figli e un matrimonio intenso anche se complicato.
Mai dimentica del suo Portogallo, soprattutto in relazione all’arretratezza di quello e in vista di un referendum per l’aborto, dipinse quadri espliciti e drammatici in cui vediamo adolescenti sedute in posizione ginecologica dentro a contesti impietosi. E come condanna subdola, tipicamente femminile, Rego vide la capacità di provare compassione e di sorreggere l’altro mentre ci si sorregge da sola: sono molte le scene in cui mescola tratti presi da Goya, dalle Madonne in pietà, dalle madri in contesti di povertà. Nel capolavoro intitolato La Danza (1988) si ritrae come vediamo bambina, giovane, adulta e dea capace di sopravvivere alla morte del compagno di vita, che in effetti morì durante l’esecuzione del quadro, nonché di dare speranza vitale a madre e nonna.
Le fiabe ci educano e ci aiutano, ma occorre sapere come non farsene sopraffare. E questa è l’ultima sua lezione, forse, mirabilmente raccontata dentro un gioiello architettonico: la Casa delle Storie di Paula Rego che è stata costruita per lei a Cascais, vicino Lisbona, come museo permanente, dal premio Pritzker Eduardo Souto de Moura: un posto dove il cemento diventa rosso, i tetti diventano piramidi e le difficoltà della vita, descritte senza censure, restano comunque incorniciate. L’arte a questo deve servire, diceva spesso l’artista: a trasformare in una storia quello che, se affrontato come realtà senza scampo, potrebbe uccidere.
Paula Rego.
The story of stories
Istanbul, Pera Museum Fino al 30 aprile
Who tells a tale...
Paula Rego in the Serralves Collection
Porto, Serralves Museum Fino al 16 aprile
Casa das Histórias Paula Rego
Cascais, Av. da República, 300 Esposizione permanente