A CA’ DA MOSTO UNA STRATIGRAFIA LUNGA OTTO SECOLI
Disegnata a matita, su di uno sfondo azzurro, un poco di scorcio. Sulla copertina del bel libro di Ugo Camerino, Ca’ da Mosto inganna. Si scorgono solo il pianterreno e il primo piano, con il loro fiorire di archi, bassorilievi, formelle. Mancano i piani superiori, sfumati, o meglio svaniti verso il cielo, e ci si illude di essere a metà Duecento, quando il palazzo era ancora nel suo primo stadio costruttivo.
Ca’ da Mosto è un’eccezione nell’eccezione. Se Venezia è pietra che si è fatta storia, questa dimora patrizia sul Canal Grande, di fronte al mercato di Rialto, è storia dentro la storia. Elementi romanici, tradizione bizantina, motivi gotici e rinascimentali, apporti moderni, per otto lunghi secoli, uno strato dopo l’altro, l’edificio è stato trasformato, manomesso, riadattato. Come manomessa, riadattata, reinventata è stata la città. Ed è proprio questa stratificazione, spontanea e misteriosa, che Camerino ricostruisce con minuziosa passione.
Gli inizi di Ca’ da Mosto ci riportano alla Venezia aggressiva e baldanzosa del XIII secolo, reduce dal colpo di mano della quarta crociata quando, anziché aiutare Bisanzio, ha guidato l’assalto alla veneranda capitale e la spoliazione del suo impero. Non a caso, il palazzo ha, ai propri esordi, i caratteri misti di abitazione aristocratica e di fondaco mercantile. I nobili veneziani, nel pieno Medioevo, sono avventurosi, bellicosi, pronti a prendere il mare e a sfidare amici e nemici. I Da Mosto, di nobiltà recente ma di grandi mezzi, diventano proprietari dell’immobile nel 1266 e ne restano in possesso fino al 1554. Vanno, vengono, costruiscono, fanno e rifanno. Sono loro a ornare la facciata con uno ieratico Cristo Redentore, messo sul suo trono, in bella vista, per devozione, certo, ma anche per prudenza, affinché protegga e conservi la dinastia. Considerate le imprese in cui i proprietari s’imbarcano, nel vero senso della parola, di aiuto divino c’è senz’altro bisogno.
Nel Quattrocento, Alvise da Mosto si fa una reputazione internazionale come mercante e navigatore. Per conto del re del Portogallo giunge, forse per primo, alle Isole di Capo Verde, studiando, osservando e… vendendo tutto quanto gli capita per le mani, schiavi compresi. E poi, dopo tanti viaggi e tanti rischi, torna in laguna, per godersi gli agi della casa, e per servire nei consigli cittadini. A metà Cinquecento, per una complessa vicenda ereditaria, Ca’ da Mosto passa ai Donà dalle Rose. I nuovi proprietari scelgono di non abitare nel palazzo, forse troppo antiquato e «modesto» per i loro gusti. Ma non rinunciano a «metterlo a reddito». Così, l’antico fondaco diviene uno dei migliori alberghi di Venezia. La città è ormai in declino come potenza marittima, ma resta pur sempre brillante di vita e generosa di tentazioni.
Tra le mura antiche di Ca’ da Mosto, ora trasformata in Albergo Al Leon Bianco, dimora, in incognito, Giuseppe II, figlio di Maria Teresa e imperatore del Sacro Romano Impero. Nel 1782 giungono altri ospiti eccellenti, ovvero Pavel Petrovič, figlio di Caterina II di Russia, in compagnia della moglie Sofia Dorotea di Württenberg. Ma anche le pietre, talvolta, soffrono.
L’Ottocento segna, per Ca’ da Mosto, un lungo periodo di oblio, interrotto solo dalle incursioni estetizzanti dei visionari anglosassoni, intrisi di venezianità. John Ruskin ne parla con ammirazione nelle sue Pietre di Venezia e ne lascia uno splendido “ritratto” acquerellato. Poi, nel 1919, un nuovo passaggio di mano, porta la Ca’ duecentesca alla famiglia Camerino. L’edificio viene ristrutturato e adattato alle esigenze moderne e si trasforma in un manifesto simbolico dell’affermazione sociale della borghesia ebraica veneziana, a cui appartengono i nuovi proprietari. All’emancipazione dal ghetto, ottenuta durante l’Ottocento, corrisponde infatti la dispersione dell’attivissimo gruppo ebraico veneziano per tutta la città, e la scelta, per chi può accedervi, di abitazioni importanti, in posizioni urbane preminenti, come il Canal Grande. Anche in questo caso, Ca’ da Mosto trasforma in pietra i passaggi fondamentali della vicenda lagunare. La storia più recente racconta un’ulteriore vendita, il restauro dell’immobile e la sua trasformazione in albergo. Antica, fragile, a un tempo dentro e fuori dal tempo, Ca’ da Mosto ha tutta l’intenzione di durare altri ottocento anni.
Ca’ da Mosto.
La parabola di un palazzo veneziano nello specchio della Serenissima
Ugo Camerino
Lineadaqua, pagg. 96, € 30