IL MINOTAURO DELLE TERRE COTTE
Il «Catalogo ragionato delle ceramiche» redatto da Luca Massimo Barbero comprende duemila opere che l’artista considerava semplicemente «sculture»
Parigi, 1937. In visita all’Esposizione internazionale, dove il padiglione delle Compagnie di navigazione italiane esibisce quattro sue grandi sculture, Lucio Fontana, che da qualche anno è sedotto dalle potenzialità della ceramica, visita la Manifattura di Sèvres. Feroce il suo giudizio: «Gli smalti reali mi annoiarono, portai nei laboratori che avevano servito le tavole di tutti i Luigi di Francia, un minotauro al guinzaglio, che dava cornate ai cestini di porcellana e alle allegorie di biscotto [biscuit]». Lì lavorerà per qualche mese e - da vero Minotauro -, realizzerà, fra quei “merletti”, opere massicce e coloratissime, come lui stesso, compiaciuto, le descriveva. Non certo oggettini d’arredo ma vere sculture, perché per Fontana, lungi dall’essere un’arte “minore”, come allora si diceva, «la ceramica [era] la più nobile delle arti». E quei lavori radicalmente innovativi («maioliche geologiche», per Raffaele Carrieri) che dai primi anni 30 aveva preso a modellare erano per lui vere sculture: «I critici dicevano ceramica. Io dicevo scultura», commenterà.
Non è un caso, dunque, che Luca Massimo Barbero abbia posto questa dichiarazione di Fontana in esergo al denso, documentatissimo saggio che introduce il Catalogo ragionato delle sculture ceramiche, da lui realizzato con la Fondazione Lucio Fontana ed edito da Skira. Progettato da Enrico Crispolti, storico compagno di viaggio della Fondazione, con lo stesso Barbero, curatore già del Catalogo ragionato delle opere su carta (Skira, 2013), questo nuovo, imponente lavoro, è stato portato a compimento dopo la scomparsa di Crispolti, in un passaggio del testimone che sancisce la stretta continuità fra i due studiosi, da Luca Massimo Barbero con la collaborazione di Silvia Ardemagni, che della Fondazione Lucio Fontana è la presidente, e Maria Villa, vicepresidente: le custodi, dunque, di quello che lì è definito, nemmeno troppo scherzosamente, «il fortino», e cioè la raccolta di materiali di quell’archivio che fu istituito con lungimiranza da Teresita Fontana nel 1970, a due anni dalla scomparsa del marito, e che della Fondazione costituisce il nucleo imprescindibile.
Con le sue duemila opere, ben 1.600 delle quali inedite, il nuovo catalogo rivela un aspetto della creatività di Fontana lungamente trascurato dalla critica e dal mercato, oscurato dai celeberrimi Tagli con cui si usa identificarlo. Almeno fino alla recente mostra Lucio Fontana: sculptures, curata da Luca Massimo Barbero per Hauser & Wirth a New
York, che ha stupito e conquistato anche gli addetti ai lavori più smaliziati. Rende così giustizia a un impegno che ha attraversato l’intera vita creativa dell’artista: «questa materia così duttile, amalgamabile, così colorabile e vitale - argomenta il curatore - era ai suoi occhi una materia del futuro, non del passato; lo strumento ideale per realizzare l’“antiforma” da lui inseguita. I soggetti stessi erano per Fontana puri pretesti per modellare un materiale che gli consentiva un contatto immediato tra testa e mano».
Il catalogo è diviso in due tomi, uno per le opere figurative (dal 1929-1930 al 1964-1965), l’altro per i lavori spaziali (tra il 1949 e il 19641966). E la scelta di ripubblicare qui anche le opere già pubblicate da Crispolti nel 2006 nel Catalogo ragionato delle sculture, dipinti, ambientazioni, ha consentito di vedere per la prima volta riunita tutta la produzione ceramica, dando la possibilità di coglierne appieno la potenza espressiva. Ecco scorrere così, nelle sue pagine, il metamorfico bestiario, acquatico e terreste, di Fontana: seppie e coccodrilli, tartarughe e fondi marini irti di coralli, conchiglie e cavalli, ma anche figure umane con vesti e corpo come scomposti da un vento impetuoso. E poi le corride e le battaglie, monumentali anche quando sono minuscole, le Meduse, e gli sconvolgenti, tellurici crocifissi, con il corpo del Cristo squassato da un soffio soprannaturale e turbinoso, che lo trasforma in una vittima sacrificale, macellata e squartata. «Opere che anticipano l’informale», chiosa Barbero, e che suscitarono allora dibattiti accesi a causa del loro “barocchismo”, adottato da Fontana per la sua incontenibile vitalità, in anni in cui il modello cui guardare era il Rinascimento, con la sua arte severa, tutta mente e ragione. A riprova, i singolari piatti «Vecchia Savona», emersi solo ora, realizzati con gli stampi lobati degli antichi piatti liguri: non dipinti, però, con i tradizionali motivi azzurri ma incrostati di grumi di una materia magmatica, a forte rilievo, che suggerisce scene di battaglia e corride. Ma intanto, dal 1949, ormai cinquantenne, Fontana sperimentava anche nella ceramica i principi dello Spazialismo, generando altri capolavori: dall’espansione dell’informale, passava, con i piatti, le formelle e certi rari solidi geometrici, a strutture chiuse, spesso oscure, che, nota Barbero, «risplendono di una luce non sottomarina ma cosmica», come le magmatiche Nature e le ultime “uova” a lustro, sinora mai davvero approfondite: vere «rivelazioni» per il curatore stesso, con i loro guizzi di luci e di ombre che nessuna fotografia, per quanto perfetta, potrà mai contenere pienamente.
UNA RICCA TIPOLOGIA DI SOGGETTI, DAGLI ANIMALI ALLE FIGURE UMANE, DALLE BATTAGLIE AI CROCIFISSI
Lucio Fontana.
Catalogo ragionato delle sculture ceramiche
A cura di Luca Massimo Barbero Skira, pagg. 816, € 350