AUGURI A SUON DI MUSICA MEGLIO SE SACRA
Il direttore compie 70 anni e la Scala lo festeggia con un volume di scritti Tra essi, un saggio dedicato all’impegno civile e al suo rapporto con il repertorio religioso
Un tema, poco considerato benché di tutta evidenza, attraversa oltre quarant’anni dell’attività di Riccardo Chailly in Scala e con i complessi scaligeri: il rapporto tra musica e sacro. Tema affascinante, che costella i decenni con una serie di esecuzioni e progetti memorabili. Considerandoli nel loro complesso, lo sguardo vi coglie un disegno lontano da qualsiasi occasionalità, e men che meno casualità, tale da imporre a buon diritto il tema della musica sacra come una tessera qualificante del profilo dello Chailly direttore. In particolare, pare possibile cogliere alcune linee precise che hanno propiziato questo incontro, rinnovandone, dall’inizio degli anni Ottanta al presente (e senz’altro, lo si vedrà, perlomeno per il futuro prossimo), dinamiche molto significative. Linee che è bene dichiarare subito per meglio apprezzare la progettualità che presiede al tema.
Il primo filone è il nesso tra sacro e impegno civile. La musica sacra viene intesa non come funzionale a un rito religioso (quale per i grandi autori, dall’Ottocento in avanti, raramente è), bensì come momento altissimo, perfettamente adatto alla celebrazione di eventi, circostanze, figure della vita civile. In secondo luogo, il direttore ha messo in atto un’importante operazione di valorizzazione d’un repertorio specifico: l’Ottocento italiano oltre l’opera. Ha promosso cioè la conoscenza d’una civiltà musicale nazionale dalla vocazione eminentemente vocale che, nel «Paese del melodramma», per dirla con Bruno Barilli, è stata in grado di esprimere una parola significativa anche nell’ambito della musica sacra. In terzo luogo, il rapporto tra Chailly e il sacro prende la strada del genere universale e atemporale per eccellenza, la Messa, frequentato dal maestro in un arco temporale esteso su più secoli. Vi è infine un percorso più eccentrico, che prevedibilmente non poteva se non affascinare un direttore di tal calibro: il sinfonismo sacro, quella produzione otto-novecentesca che sussume in un discorso concertistico, esclusivamente strumentale o sinfonico-vocale, temi presi in prestito dal sacro, mettendo in atto discorsi musicali di grande momento e significato.
Parrebbe questa, dunque, la tastiera a disposizione del Riccardo Chailly scaligero: un quartetto di opzioni in cui vengono a innestarsi con perfetta coerenza i progetti artistici e discografici che a cominciare dagli anni Ottanta hanno preso vita negli altri teatri dell’attività del direttore: ad Amsterdam, Berlino, Bologna, Lipsia, Londra, ancora Milano con l’Orchestra Verdi, Vienna. Profilo coerente, si diceva, in cui la molteplicità dei registri del sacro cui si accennava finisce per disegnare le coordinate d’un discorso dalla notevole forza di convinzione, senz’altro meritevole d’approfondimento.
Sacro e impegno civile, dunque. Il percorso di Riccardo Chailly mostra molto bene come un certo repertorio sia in grado di accompagnare con una parola significativa la Storia di una comunità, solennizzandone gli snodi più significativi e celebrandone le figure emblematiche. Due immagini potenti e altrettante date, agli estremi del percorso scaligero di Chailly, restano indelebili nella memoria. Il 18 marzo 1981, l’esecuzione dello Stabat Mater di Verdi nella sala vuota del Piermarini, trasmessa attraverso gli altoparlanti alle quattromila persone accorse in Piazza della Scala a omaggiare il feretro di Paolo Grassi collocato nel foyer, luogo di ideale congiunzione fra il teatro e la città. Quarant’anni più tardi, il 4 settembre 2020, l’esecuzione della Messa da Requiem di Verdi nel Duomo di Milano, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in memoria delle vittime della pandemia COViD-19, trasmessa in diretta televisiva su Rai5, con repliche il 7 settembre nella Basilica di S. Maria Maggiore a Bergamo e il 9 nel Duomo Vecchio di Brescia, i centri religiosi e monumentali delle due città martiri della pandemia. Memoria ancora fresca, di dolorosa attualità, la tensione trasmessa sin dal pianissimo dell’Introitus, la sentenza implacabile del Dies irae, il brivido lungo la schiena all’inquieto Quantus tremor: un linguaggio in grado di veicolare il dramma d’un intero Paese, anzi di un’umanità, nel settembre 2020, spaesata e attonita, cui il morso della pandemia ha lasciato una ferita aperta.
Ancor più recente, meno d’un anno fa, un’altra pagina sacra convocava il pubblico milanese attorno a una contingenza non meno drammatica. Si scelse infatti lo Stabat Mater di Rossini a esprimere la commossa partecipazione alle sofferenze del popolo ucraino, a poco più d’un mese dall’aggressione russa, attraverso il memorabile Concerto per la Pace del 4 aprile 2022 nella sala del Piermarini: momento di pensosa meditazione e al contempo di fattiva solidarietà, considerando i 382mila euro d’incasso devoluti alla Croce Rossa Italiana e al Fondo MilanoAiutaUcraina, con la contestuale rinuncia all’onorario da parte di tutti gli artisti.
L’impressione che si trae abbracciando con lo sguardo l’intreccio di musica sacra e società civile va però oltre l’occasionalità dei drammi epocali appena citati, in direzione d’una consuetudine ad accompagnare il quotidiano. Il 7 ottobre 2016 la prova d’insieme della Messa da Requiem di Verdi omaggia le 118 vittime dell’incidente aereo di Linate nel 15° anniversario dell’evento; il 3 ottobre 2014 lo stesso capolavoro verdiano era risuonato in memoria di Claudio Abbado; il 25 marzo 2017 lo Stabat Mater e il Te Deum dai Quattro pezzi sacri di Verdi hanno celebrato il 150° dalla nascita di Arturo Toscanini; il prossimo 23 maggio 2023 la Messa da Requiem di Verdi ritornerà nel luogo che l’ha tenuta a battesimo, la basilica milanese di S. Marco, per l’occasione per cui è stata concepita, la commemorazione di Alessandro Manzoni, a centocinquant’anni dalla morte del poeta. Come dire: a chiudere il cerchio del nesso ispirazione creativa, sacro e società, con un lavoro perfettamente adatto alla circostanza. Ha scritto opportunamente Charles Rosen nel suo fondamentale studio La generazione romantica, che l’ispirazione del compositore ottocentesco rispetto al sacro attinge a limpida autenticità soltanto quando affronta il tema della morte. Opinione che sarà forse incauto generalizzare, ma che coglie sicuramente, in questo caso, la verità.