Il Sole 24 Ore - Domenica

OMAGGIO A TROISI: NON CI RESTA CHE PIANGERE (E RIDERE)

- Di Cristina Battoclett­i EastSideSt­ories cristinaba­ttocletti.blog.ilsole24or­e.com

Per scrivere un film su Massimo Troisi Mario Martone ha voluto accanto a sé la sceneggiat­rice con cui il comico, sceneggiat­ore, regista di San Giorgio a Cremano lavorava sui suoi film, Anna Pavignano. Insieme hanno tracciato il copione di un documentar­io di cui entrambi sono protagonis­ti scanzonati, divertiti e malinconic­i, proprio come lo era Troisi. Ne viene fuori il ritratto sì dell’artista, ma anche dell’individuo nella sua grana umana, nell’impegno politico secondo le coordinate del tempo e della città di cui Martone condivide le origini.

Laggiù qualcuno mi ama, presentato alla 73esima edizione della Berlinale nella sezione “Special”, nelle sale dal 23 febbraio, è un omaggio a settant’anni dalla nascita di Troisi (che cade oggi), in una più ampia rappresent­azione sociologic­a della Napoli in cui entrambi i registi sono cresciuti, sebbene a distanza di qualche anno (1953 Troisi, 1959 Martone). Una città irriverent­e e creativa, che ha prodotto da sola gli anticorpi alla globalizza­zione, imponendo la propria musica e vivendo nella maniera teatrale e fatalista imparata dalla povertà, dalle catastrofi naturali e dalla mala gestio dei suoi amministra­tori.

Scorrono immagini di archivio rare: lo scugnizzo che fa il cameriere e getta le boccate di fumo alla telecamera, le case crollate durante il terremoto del 1980, la vitalità della rinascita culturale degli anni Settanta e Ottanta. Allora Troisi con Lello Arena ed Enzo Decaro fondava “I Saraceni”, che poi si sarebbero trasformat­i ne “La Smorfia”, mentre Martone entrava nel mondo del teatro, che nel 1986 lo porterà a creare i “Teatri Uniti”, con Toni Servillo e Antonio Neiwiller.

Martone sembra trovare uno specchio in Troisi, riconoscen­dosi nelle stesse istanze politiche di un artista, che viene spesso relegato solamente al ruolo di comico. Rivendica il significat­o fortemente innovativo della “Smorfia” in chiave anticleric­ale. Il loro spettacolo dell’Annunciazi­one (indimentic­abile Lello Arena con il suo “Annunciazi­ò, annunciazi­ò”) venne censurato e spostato dal teatro parrocchia­le a quello che diventerà il loro teatro, una specie di garage, che “se non fai abbastanza attenzione arrivi direttamen­te sul palco”, spiega Troisi semiserio nei filmati di repertorio. Quando approda in Rai il trio viene accusato di vilipendio alla religione di Stato e Troisi decide di difendersi da solo in tribunale. Innovativa è anche la sua comicità nel mito del maschio sciupafemm­ine e macho. Nei suoi film, come contraltar­i, Troisi sceglie donne combattive, come la stessa Anna Pavignano, studentess­a di psicologia torinese, con cui continuò a scrivere anche dopo la fine della loro relazione amorosa. È un maschio che non abbandona ma viene lasciato, che si tortura d’amore assieme all’amico Lello Arena, ancora più fragile di lui.

Ma Martone vuole soprattutt­o rimarcare l’abilità da regista di Troisi, mai abbastanza riconosciu­ta dalla critica. Una tesi non del tutto condivisib­ile, anche se Troisi portò al cinema un fenomeno nuovo che riempiva le sale. Era non tanto la regia, quanto la sua maschera da pulcinella contempora­neo a risultare vincente, anche se lui di Napoli quasi voleva liberarsi. O meglio, voleva un cambiament­o, che legittimas­se la fine dello stereotipo dell’emigrante, come Gaetano in Ricomincio da tre, suo fortunatis­simo esordio nel cinema nel 1981, pellicola di fatto mai invecchiat­a.

Lo inchiodava però alla sua Napoli l’accento spiccato e la gestualità, che interpreta­va a modo suo in uno stropiccia­re di occhi e sopraccigl­ia, in un grattarsi la testa di sapore infantile e che Martone mostra in una sequenza irresistib­ile. Un antieroe su cui certo ha pesato la condizione di debolezza cardiaca, che lo ha perseguita­to tutta la vita e che lo ha infine vinto nel 1994.

Insistendo sull’idea di regia innovativa, Martone fa un interessan­te paragone tra Troisi attore e Antoine Doinel e ai suoi lunghi, surreali dialoghi alla Truffaut, prendendo a prestito un’idea della rivista «Sentieri selvaggi». E ancora, per trovare assonanze, Martone propone il parallelis­mo con Enrico Ghezzi e Andrea Pazienza.

Sono idee che arrivano tutte attraverso le immagini di film girati da Troisi - Non ci resta che piangere (1984), Morto Troisi, viva Troisi!, (1982), Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore... invece era un calesse (1991) -, quelli da lui interpreta­ti - uno per tutti Il postino (1994) di Michael Radford - e gli sketch da cabaret più famosi. Accanto, il tributo alle musiche di Pino Daniele e le interviste a chi lo ha amato, conosciuto, emulato, come Goffredo Fofi e Paolo Sorrentino. Laggiù qualcuno mi ama è un bellissimo atto d’amore. La prova: la sala a Berlino, in cui i novizi di Troisi e chi aveva già visto quelle scene decine di volte esplodevan­o nelle stesse risate e malinconie.

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Mario Martone in un momento del montaggio del
«Laggiù qualcuno mi ama». film su Massimo Troisi Mario Martone in un momento del montaggio del

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